venerdì 13 maggio 2016

Repubblica 13.5.16
Tawakkol Karman, volto della rivolta in Yemen, premiata con il riconoscimento per la pace
La sfida della Nobel “La primavera non è finita gli arabi vogliono libertà”
“Viviamo una sanguinosa controrivoluzione, ma i nostri sogni sono ancora intatti”
“Il paese è al collasso: le milizie devono deporre le armi prima delle trattative o non ci sarà pace”
intervista di Francesca Caferri

ROMA. «Non abbiamo sbagliato». Non c’è l’ombra di un dubbio nella voce di Tawakkol Karman quando parla di quella Primavera araba che, cinque anni fa, la vide protagonista fino a farle vincere il Premio Nobel per la Pace. Oggi che la regione vive nel caos e il suo paese, lo Yemen, è sprofondato in una guerra che ha fatto più di 6mila morti e oltre un milione di sfollati, la giornalista diventata attivista, 37 anni, madre di due figli, continua ad essere ottimista quando parla del futuro. «Ogni rivoluzione subisce una controrivoluzione: ma alla fine del buio c’è sempre la luce».
A Roma per partecipare al lancio del progetto Nobel for Peace and Food della Fao, Karman ha scelto Repubblica per lanciare un appello all’Italia, paese che ha con il “suo” Yemen una lunga storia di amicizia: «C’è bisogno anche di voi per una pace duratura nel mio paese».
Le primavere arabe sembrano aver portato sangue e nuove dittatura: Lei che ne è stata protagonista cosa pensa?
«Penso che la lotta, i sacrifici che abbiamo fatto siano gli stessi, cinque anni fa come oggi. Stiamo pagando il prezzo della rivoluzione, che è una sanguinosa controrivoluzione, come molte volte è accaduto nella storia. Ma i nostri sogni sono intatti, i nostri desideri anche: vogliamo Stati nuovi. Democrazia, giustizia, regole comuni per tutti. Per questo andiamo avanti».
Lungo il cammino ci sono stati morti e guerre: che errori hanno fatto quelli come Lei?
«Gli errori non sono stati i nostri, ma di chi ha cercato di fermare la voglia di libertà. In molti hanno detto che quello che è accaduto è colpa degli attivisti, dei giovani, delle donne: io credo che abbiamo fatto il passo più difficile e coraggioso. Alzarci per chiedere diritti: le risposte che abbiamo ottenuto sono quelle di dittatori come Abdallah Saleh, l’ex presidente yemenita, il leader siriano Bashar al Assad, l’ex generale Abdallah al Sisi in Egitto».
Il Nobel ha fatto di Lei il volto delle donne arabe: oggi sembrano loro quelle che stanno perdendo di più...
«È vero: quello che è in corso è un attacco contro i diritti fondamentali, di espressione, di libertà. Le torture, le incarcerazioni senza motivo, gli omicidi toccano uomini e donne: ma di certo le donne soffrono di più perchè come cittadine sono quelle che hanno faticato di più per avere i loro diritti. Noi però abbiamo dimostrato al mondo che ci siamo, che siamo pronte a combattere per rivendicare libertà. E vogliamo che le persone non lo dimentichino».
Parliamo di Yemen: nel suo paese c’è una fragile tregua, ma la società è allo sbando, due milioni di persone sono in fuga, milioni soffrono la fame.
«Lo Yemen ha bisogno dell’aiuto della comunità internazionale e voglio fare un appello specifico all’Italia, alla quale ci lega un lungo rapporto. Solo una vera de-militarizzazione del paese, con tutte le milizie che depongano le armi prima di sedersi al tavolo delle trattative, potrà portare a qualche speranza. Serve un processo politico, non militare. Il paese è al collasso: era già il più povero della regione, ora c’è stata la guerra. Occorre il vostro aiuto».