Repubblica 12.5.16
Nello Rossi, avvocato generale in Cassazione.
“I magistrati cittadini come gli altri assurdo che non parlino delle riforme”
Nello Rossi avvocato generale in Cassazione replica a Scarpinato: “I giudici non vigilano sulla politica”
intervista di Liana Milella
ROMA.
«Di fronte al referendum i magistrati ritornano semplici cittadini ».
Dice così Nello Rossi, una lunga carriera alle spalle e oggi avvocato
generale in Cassazione.
Scarpinato a Repubblica ha detto che oggi
la Carta «affida alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla
lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di
governo». Che ne pensa?
«Attenzione a non creare equivoci dannosi.
Quando si parla di “strategie” e di “ruoli strategici” è forte il
rischio che i lettori pensino alla magistratura come un soggetto
unitario che agisce secondo piani predeterminati e si assegna compiti
generali , in questo caso di “vigilanza” sull’agire politico in nome
della Costituzione. Non è affatto così. Innanzitutto perché ai “singoli”
giudici è riservato una facoltà più molecolare, più fine e riflessiva:
la possibilità di dubitare, nel corso di un giudizio, della conformità
alla Costituzione della legge da applicare nel caso concreto,
rivolgendosi poi all’unica “magistratura costituzionale”, cioè la
Consulta. Ma c’è di più...».
E sarebbe?
«Come tutti possono
quotidianamente constatare la magistratura è una realtà molto composita e
variegata, tanto nei convincimenti ideali quanto nei ruoli
professionali. Anche se lo volesse e, grazie a Dio, non lo vuole
affatto, non sarebbe in grado di nutrire disegni complessivi e coltivare
opzioni politiche generali. Tra le tante critiche che le vengono
rivolte questa è la più infondata».
Scarpinato parla del «gioco
grande», per cui non si può valutare l’impegno delle toghe nel
referendum se non si capisce che la riforma è «uno spartiacque del modo
di essere dello Stato».
«Il gioco grande? È una espressione
suggestiva, che ho sempre sentito riferire al secolare e sanguinoso
balletto delle grandi potenze sull’Afghanistan. Al netto dell’enfasi,
direi che il combinato disposto della nuova legge elettorale e del nuovo
testo costituzionale disegna una nuova mappa del potere – segnata dal
ruolo assolutamente preponderante della maggioranza – e apre la via a
nuovi equilibri tra i poteri dello Stato. Una questione coinvolgente e
divisiva che tocca profondamente ciascuno di noi».
Ma lei vede in questo momento storico, con Renzi al governo, una deriva “assolutistica“ e “oligarchica” del potere?
«
Se devo essere sincero, non penso affatto che le donne e gli uomini
oggi al governo e in maggioranza abbiano mire o propensioni del genere.
Ma la sua è una domanda mal posta. Costituzione e legge elettorale sono,
almeno in teoria, destinate a sopravvivere all’attualità e ai suoi
protagonisti. Le inquietudini sull’oggi, che pure sono legittime, si
sommano a quelle sul futuro del nostro Paese e dell’Europa, percorsi da
ondate di improvviso irrazionalismo e da vecchi e nuovi estremismi, che
non vorrei vedere superpremiati da risultati elettorali di segno
emotivo».
Da ex pm con una passata militanza in Md, di cui è stato
presidente, pensa che una toga sia libera di parlare ed esprimersi sul
referendum?
«Di fronte al referendum i magistrati, come i
professori di diritto costituzionale, ritornano semplici cittadini. Con i
loro dubbi, le loro incertezze, le loro divisioni ideali, le loro
discutibilissime opinioni. Senza alcuna autorevolezza aggiuntiva. Ma
come si può pensare che una parte viva della società italiana come la
magistratura si estranei nel momento in cui si decide l’assetto delle
istituzioni che daranno forma alla convivenza democratica per un futuro
prevedibilmente assai lungo? Si sta discutendo della qualità della vita
democratica nostra, dei nostri figli, dei nostri nipoti. È questa, del
resto, la ragione istituzionale del referendum confermativo nel quale,
alla fine di tutti i ragionamenti, bisognerà rispondere sì o no. Per
questo l’accusa di schierarsi non ha senso» Ma ha sentito Legnini, il
suo è un invito alla prudenza...
«Penso che da un magistrato, in
ragione del “terribile” potere che esercita, si possano pretendere molte
cose. Innanzitutto “deve” essere intelligente. Se no sono guai. E poi
deve essere imparziale, equilibrato, riflessivo. Ma prudente no. Dotato
di coraggio civile, piuttosto. Se nella storia repubblicana i migliori
magistrati fossero stati “prudenti” , accorti, defilati , silenziosi ,
non sarebbero stati in prima fila contro l’eversione, i poteri
criminali, i “giri” della grande criminalità economica e della
corruzione. Per questo, davanti a una platea di giovani magistrati, non
mi sentirei di tessere l’elogio della prudenza».
Un toga può aderire a un comitato per il sì o il no? Può farlo un membro del Csm, di cui lei ha fatto parte?
«Non
bastano al riguardo le regole auree della libertà e della
responsabilità di ciascuno? E del diritto di critica degli altri? È il
criterio che Marco Ramat invocava per le sentenze, che devono essere
soggette alla più ampia e libera critica; può valere anche per i
comportamenti e i discorsi di ciascun magistrato, anche se siede in
Consiglio, in questa ennesima prova civile».