giovedì 12 maggio 2016

La Stampa 12.5.16
I magistrati e il diritto di schierarsi
di Armando Spataro
Procuratore della Repubblica di Torino

Caro direttore, prosegue in questi giorni la discussione attorno all’opportunità o meno per i magistrati di schierarsi pubblicamente in vista del referendum d’ottobre sulla riforma costituzionale. Gli interventi, in proposito, non sono sempre raffinati, alcuni – come quello di Vladimiro Zagrebelsky di due giorni fa - lo sono troppo.
Mi spiego: Zagrebelsky parte da un assunto condivisibile, secondo cui la questione non può essere affrontata solo sul piano della contrapposizione tra il lecito (come l’esercizio del diritto alla libertà di espressione) e l’illecito (che è sempre sanzionato). Bisogna considerarla – egli afferma - anche sotto il più delicato profilo della opportunità, che non coincide con la liceità del comportamento. L’inopportunità dello schierarsi dei magistrati sarebbe legata al fatto che il dibattito attorno alla riforma della Costituzione non è legato alla loro esperienza professionale e li trascina inevitabilmente nella contrapposizione al Parlamento ed al governo. Sarebbe infine difficile attendersi dai magistrati argomenti nuovi e più efficacemente esposti rispetto a quelli propri dei costituzionalisti: il loro coinvolgimento nella campagna per il «No», pertanto, sarebbe legato alla sola speranza di attrarre consensi in virtù della propria funzione. Sintesi forse troppo lunga, ma necessaria per confutare – non certo con la brillantezza del confutato – la tesi che ne è oggetto.
Non credo affatto, per cominciare, che i principi ed i temi costituzionali, anche quelli non compresi nel Titolo IV, dedicato alla magistratura e alla giurisdizione, siano estranei al nostro impegno professionale: ne sono anzi riferimento irrinunciabile quando i magistrati parlano e scrivono, nelle aule e fuori, nel penale e nel civile, tanto che la loro possibile violazione essi possono rimettere alle valutazioni della Consulta. Ma, anche ipotizzando che non fossimo in grado di offrire ai cittadini riflessioni originali (come accade spesso ai «giuristi pratici», appellativo non sempre benevolo riservato ai pubblici ministeri), non vedo affatto cosa vi sarebbe di criticabile se i magistrati si adoperassero per diffondere ed illustrare il pensiero critico e le obiezioni alla riforma costituzionale che tanti accademici (tra cui ben 20 ex presidenti o vice presidenti della Corte Costituzionale!) hanno già elaborato in significativi ed agili testi destinati alla divulgazione. Personalmente non aspiro ad altro se non a diffondere tale illuminato pensiero: anzi, mi onora citarne la provenienza.
Ragionando nell’ottica di Zagrebelsky si finirebbe con il ritenere che solo i costituzionalisti siano legittimati ad impegnarsi per il »No», il che è a mio avviso inconcepibile. Ed aggiungo che sono lieto di avere al mio fianco cittadini di ogni estrazione sociale, culturale e professionale, tutti convinti che la Costituzione sia un bene comune e che la si debba difendere proprio per le ragioni che altri, meglio di noi, hanno saputo illustrare. Difficile, del resto, pensare che solo 50 o 100 accademici possano riuscire a parlare ed interloquire con i milioni di votanti cui quelle ragioni devono essere esposte con pazienza e con le difficoltà di un contesto comunicativo che predilige frasi ad effetto o paragoni provocatori e che non offre ancora eguale spazio ai due «fronti».
Si dice: «certo ma i magistrati vengono ascoltati in quanto magistrati e ciò pesa nella discussione»! E allora? Personalmente non mi sono mai presentato ai cittadini come meritevole di particolare attenzione per il mio ruolo ed andrei in giro a parlare di Costituzione con eguale ostinazione se fossi avvocato, architetto o un impiegato. Torniamo allora alla domanda centrale: possono i magistrati essere limitati nei loro diritti perché qualcuno ha voluto politicizzare il referendum? Non credo, purché, come codici disciplinari e deontologici prevedono, non siano iscritti a partiti, né partecipino in modo sistematico e continuativo alle loro attività, manifestino il loro pensiero secondo criteri di equilibrio, dignità e misura, preservando la propria immagine di indipendenza ed imparzialità.
Ed è per questo che occorre selezionare le occasioni pubbliche di intervento, rifiutando quelle strettamente partitiche e amministrando con sapienza le proprie parole: questa è l’unica «opportunità» che il magistrato deve considerare per evitare che quel termine – come ha scritto Giancarlo De Cataldo – «scivoloso ed inafferrabile... si tramuti in un’arma da brandire contro voci dissenzienti in quanto tali». Il che, sia ben chiaro, non ha nulla a che fare con il pensiero di Zagrebelsky che non vuole certo una magistratura passiva e silente.