mercoledì 11 maggio 2016

Repubblica 11.5.16
I confini della Ue
di Olivier Bot

QUALI sono le frontiere dell’Europa? È una domanda che da tempo suscita imbarazzo. Gli stessi dirigenti europei rifiutano di delimitare i contorni dell’Unione. Chiedere dove si fermi il territorio dell’Unione Europea significa suscitare una confusione certa. E quando si tratta di attivare la solidarietà europea, ci vuole poco a trovare ragioni per non ritenere “accettabile” il proprio vicino. Salvare la Grecia, culla della democrazia, e mantenerla nella zona euro? Si esita e si tergiversa prima di accettarne il prezzo. L’Ucraina, che vuole emanciparsi dalla tutela russa? Quando Mosca tuona, Bruxelles fa le moine. La Gran Bretagna, che a giugno voterà su una possibile uscita? È la voce di Obama che copre le altre. La Turchia, che bisognava integrare perché facesse da argine alle complessità dell’Oriente? È una finzione che viene tenuta in piedi senza più convinzione.
Diciamolo chiaro e tondo: queste crisi che hanno scosso e straziato l’Europa hanno almeno il vantaggio di aver posto la questione delle frontiere. E di aver dissipato alcune incertezze geografiche. Con il conflitto siriano, la Grecia è apparsa come la breccia dove si riversano le vittime dell’impotenza occidentale. E la Turchia, grazie a un accordo poco glorioso, come l’anticamera dove rispedire migranti indesiderabili. L’attualità ha definito con precisione la frontiera meridionale. Un altro limite è stato eretto a Est, con la crisi ucraina. Eretto al suono del cannone. Con il referendum britannico, sapremo se la nostra “piccola protuberanza dell’Asia” conserverà in toto oppure no una delle sue due appendici isolane. Quello che i dirigenti non hanno voluto affermare lo impone la Storia.
Ai tempi della guerra fredda, l’Unione Europea andava a sbattere contro la cortina di ferro: tutto era chiaro. Il muro di Berlino è caduto e si è aperto un nuovo orizzonte a Est. A Est, ma fino a dove? Sicure della superiorità del loro modello, le democrazie occidentali hanno pensato che queste nazioni si sarebbero adattate allo stampo: ma dimenticavano che l’assillo dell’Impero aveva sviluppato in esse un nazionalismo accanito, che guarda a Bruxelles come a una piccola Mosca. E dimenticavano che la democrazia resta un lungo apprendistato. La Commissione è ormai ridotta a redarguire l’Ungheria, e la Polonia, che si allontanano dagli “standard europei”. Con la crisi migratoria, i cittadini del vecchio continente hanno scoperto che le porte della loro casa comune erano rimaste aperte. Niente portiere nel condominio. Ognuno si è rinchiuso nel suo appartamento, dimenticando le nostre tradizioni di asilo. Alcuni sono rimasti inquieti, altri se ne sono rallegrati, timorosi di perdere l’anima o l’identità. Sia come sia, ha preso piede la diffidenza, alimentata dal terrorismo. All’interno della Ue sono stati eretti muri, dimenticando la libera circolazione di uomini e merci, che pure è il cuore del progetto europeo. Erigendo barriere, srotolando fili spinati, i Paesi europei si sono richiusi. Gli accenti ruvidi del nazionalismo si fanno sentire dappertutto, perfino in quei Paesi che hanno conosciuto gli strazi di un’ideologia portatrice di guerra.
Dagli anni ‘90 in poi, l’allargamento precipitoso e illimitato dell’Europa ne ha annacquato i pregi. Anche senza aver letto Elogio delle frontiere di Régis Debray, era lecito temere che questa vaghezza sulle frontiere finisse per dissolvere l’idea europea. Senza frontiere, non c’è dentro né fuori. Non c’è coesione, non c’è progetto possibile. Senza mappa, non c’è territorio. «Un popolo è una popolazione, con in più contorni e narratori», scrive Régis Debray. Bisogna fare dell’Europa null’altro che una destinazione e un miraggio per gli africani che sperano in una vita migliore?
Sulla mappa dell’Unione, la Svizzera sembra un tassello mancante al centro del puzzle. Non fa parte dell’Ue, ma ha un’esperienza da condividere. Esperto nell’arte della diplomazia, del diritto umanitario, del multilinguismo, del federalismo e della democrazia diretta, il nostro Paese potrebbe aiutare l’Unione Europea a ritrovare se stessa. Uno svizzero alla guida dell’Osce non è forse riuscito a placare le tensioni in Ucraina mostrando rispetto verso la Russia quando l’Europa la disprezzava? Le agenzie internazionali e le organizzazioni non governative di Ginevra non hanno forse giocato un ruolo nei campi di migranti, in Turchia e altrove? La Svizzera avrebbe potuto spiegare al Regno Unito che un referendum può essere contrario agli interessi economici di un Paese: l’iniziativa federale del 9 febbraio contro l’immigrazione di massa lo ha dimostrato. Potrebbe anche essere di ispirazione per i Paesi candidati, in particolare all’Est, che fanno fatica a soddisfare le esigenze di Bruxelles attraverso la via bilaterale che Berna padroneggia da tempo. Fissando una volta per tutte i suoi confini e cercando ispirazione nel suo centro, l’Europa ritroverebbe probabilmente una coerenza e un progetto.
L’autore è caporedattore degli esteri del quotidiano svizzero “ Tribune de Genève” ( Traduzione di Fabio Galimberti) © LENA, Leading European Newspaper Alliance