Corriere 11.5.16
Il concorsone
La scuola senza Storia
di Ernesto Galli della Loggia
Vige
in Italia, per quel che riguarda l’istruzione scolastica, una singolare
schizofrenia. Un giorno sì e l’altro pure tutto il mondo politico, dal
presidente del Consiglio all’ultimo assessore, e al loro seguito i mass
media all’unisono, sottolineano la sua assoluta importanza,la sua
crucialità. Poi però sembra che in pratica i problemi dell’istruzione si
riducano — oltre a qualche generico allarme per i risultati solitamente
non brillantissimi ottenuti dagli studenti italiani nei confronti
internazionali (vedi valutazioni Pisa) — a niente altro che
all’immissione in ruolo delle decine di migliaia di aspiranti
insegnanti. Cosa certo importante, ma forse non meno di qualcun’altra,
circa la quale l’interesse è invece minimo. Per esempioil contenuto di
molti programmi, e di conseguenza i valori diciamo così generalia cui
l’insegnamento delle nostre scuole s’ispira e che cerca a sua volta di
trasmettere. I tre quesiti di storia ai quali sono stati sottoposti i
candidati del recente «concorsone», di cui tanto si è parlato nei giorni
scorsi, consentono di farsi un’idea abbastanza precisa— sul versante
della preparazione degli insegnanti — di quella che il ministero
dell’Istruzione e i suoi funzionari considerano la prospettiva con la
quale i giovani italiani devono essere invitati/addestrati a guardare al
mondo. Nel primo di tali quesiti il candidato professore è invitato a
progettare per una classe di scuola media la lettura di alcuni testi con
relativi collegamenti tra i medesimi «sul tema del diverso, il profugo,
l’estraneo».
Nel secondo l’esaminando è chiamato a delineare lo
schema di una lezione di due ore «sul tema della demografia»: così,
sulla demografia in generale, senza alcuna indicazione di tempo e di
luogo. Infine, il terzo quesito lo invita, sempre per la scuola media, a
«progettare una unità didattica di due ore sulla Costituzione
italiana».
Questa è dunque l’idea della storia universale che ha
nella testa il Miur e che viene indirettamente ma autorevolmente
suggerita alla scuola italiana. Un’idea della storia che non sembra
molto interessata a che un adolescente italiano, uscendo dal ciclo
dell’istruzione obbligatoria, abbia qualche nozione, che so, di che cosa
siano il Protestantesimo o l’Islam e di che cosa abbiano voluto dire le
loro vicende, al fatto che egli sappia dell’esistenza di una
Rivoluzione francese o di una cosa chiamata capitalismo, o che ci sia
stata una Prima guerra mondiale — al Risorgimento o all’Unità d’Italia
non oso neppur pensare. No, ai suoi insegnanti il ministero
dell’Istruzione della Repubblica — ai cui vertici, non bisogna mai
dimenticarlo siede un sottosegretario democrat esaltatore a suo tempo
del rilevante contributo educativo apportato alla sua formazione dalle
occupazioni scolastiche — il ministero dell’Istruzione, dicevo, fa
capire che altre sono le cose che contano e alle quali essi debbono
soprattutto porre mente. Per l’appunto, al «diverso» nelle sue varie
accezioni e alla Costituzione (anche se mi chiedo quale: quella «più
bella del mondo» o quella in edizione Renzi?).
Immagino il
risultato nelle aule scolastiche. Quasi sempre, ci si può scommettere,
il politicamente corretto più desolante, il più piatto conformismo
buonista in obbedienza al vigente discorso pubblico ufficiale. È
significativo infatti che nell’ottica del Miur non si invitino i futuri
insegnanti a pensare a letture sulle migrazioni come grande fatto
storico, sulle sue conseguenze nei secoli, ai giganteschi problemi
connessi. Forse a qualcosa del genere si pensava anche, ma con questo
taglio il discorso rischiava di risultare troppo spinoso, ed ecco allora
che si preferisce parlare, invece, di letture sul «diverso, il profugo,
l’estraneo». Insomma, le tragedie del mondo vengono espulse dalla
storia e dalla sua dura realtà (e si pensi che si tratta di quesiti per
la classe di concorso di storia!) per venire cloroformizzate dalle
tranquillanti disquisizioni della sociologia edificante, dai fervorini
etno-antropologici intrisi di buoni sentimenti. Consegnate al tema del
«profugo» e dell’«estraneo», appunto: mentre la demografia è chiamata a
conferire al tutto un opportuno tocco di scientificità.
Anche
l’idea di fare della Costituzione, tra tutti gli argomenti possibili,
l’oggetto di un quesito per una prova di storia obbedisce alla medesima
volontà di una destoricizzazione di fatto della scena contemporanea. In
questo caso a vantaggio di un approccio non più sociologico ma di tipo
giuridico astrattamente prescrittivo ed evocando uno strumento, la
Costituzione, anche in questo caso, come si sa, carissimo al più bolso
discorso pubblico ufficiale. Impossibile comunque non collegare i due
quesiti, e non leggerli come l’implicita affermazione di un presunto
obbligo costituzionale all’accoglienza del «profugo», dell’«estraneo»,
eccetera eccetera.
È con questi criteri interamente schiacciati
sul presente, su un’immediata contemporaneità declinata eticamente, è
con questa idea di storia che con la storia in verità non ha più quasi
nulla a che fare, che i nuovi insegnanti e per loro tramite i giovani
italiani dovrebbero addestrarsi a stare nella loro epoca. Cioè ad
affrontare un futuro di cui ignorano ogni passato, armati di una
benevola sociologia, di appropriate nozioni demografiche, e naturalmente
di sani principi costituzionali. Con tali premesse bisogna solo
augurarsi che riescano a uscirne vivi.
Ernesto Galli della Loggia