Repubblica 11.5.16
Etruria, tutti i prestiti a amici disastrati tra yacht, hotel di lusso e cemento
La
relazione di 150 pagine del commissario Santoni sull’insolvenza della
vecchia banca “Vertici inerti e incapaci”. I soldi sparivano e non
diventavano tempestivamente sofferenze
di Fabio Tonacci
Chi
ha spinto Banca Etruria nel baratro concedeva prestiti a grandi gruppi
amici coi conti disastrati, senza criteri ragionevoli. «Incapacità
generalizzata a gestire il credito», la definisce il commissario
Giuseppe Santoni nella relazione finale sull’insolvenza. I soldi
uscivano, e non rientravano. Chi compilava i bilanci, poi, non li
inseriva «tempestivamente » tra le sofferenze. Col risultato che i soci
dell’istituto vedevano una cassa più sostanziosa di quanto fosse nella
realtà.
In più di 150 pagine, Santoni mette nero su bianco le
ragioni del fallimento della vecchia Banca Etruria, senza risparmiare i
vertici: «Nonostante le pressanti indicazioni di Bankitalia, restavano
singolarmente inerti». Aggiunge «difetti nei controlli di primo e
secondo livello sui conti transitori, e anomalie nelle verifiche
anti-riciclaggio». È un documento essenziale, perché serve al pool di
magistrati di Arezzo per definire le ipotesi della bancarotta
fraudolenta. A cominciare dalla gestione disastrosa dei grandi
creditori.
Santoni ne cita diversi, ma si concentra sui quattro
che, insieme, hanno accumulato un’esposizione superiore a cento milioni.
Denaro che l’Etruria non ha mai più visto. Si tratta del gruppo Sacci
spa (50 milioni), storica azienda del cemento di proprietà della
famiglia Federici ritenuta vicina a Gianni Letta. Augusto Federici è
stato anche nel cda della banca fino al 2011. Poi la Privilege Yard spa,
che ha avuto una ventina di milioni per il famoso progetto dello yacht
più grande del mondo: fallito prima del completamento dell’imbarcazione,
che giace mestamente in un cantiere di Civitavecchia. Altri 20 milioni
evaporati sono andati a Villa San Carlo Borromeo, una srl che possiede
l’omonimo hotel cinque stelle di Senago fallita l’11 giugno scorso.
Aveva ottenuto un mutuo ipotecario dalla direzione generale dell’Etruria
grazie all’imprenditore 71enne Armando Verdiglione, finito più volte in
carcere.
La storia giudiziaria di Verdiglione meritava un
approccio più cauto da parte di chi ha autorizzato il fido. Lo stesso
vale per l’immobiliarista Pierino Isoldi, anche lui con diversi guai con
la giustizia, che ha ottenuto una quindicina di milioni di euro nel
2010 per la Isoldi Holding spa, poco prima di finire in amministrazione
controllata.
Santoni allarga il ventaglio dei fidi dati in
conflitto d’interesse. Oltre a quelli individuati da Bankitalia (sono
indagati l’ex presidente Rosi e l’ex consigliere Nataloni), ne sono
saltati fuori altri due riferiti a due ex consiglieri, e tra le società
beneficiarie spunta ancora la Sacci. Starà ai magistrati valutare la
consistenza delle garanzie offerte e se i vecchi manager di Etruria
hanno provato a recuperare il denaro. Sulle responsabilità addossate ai
due cda sotto inchiesta Santoni distingue. Al primo (2009-2014,
presidente Giuseppe Fornasari, tra i consiglieri Pier Luigi Boschi)
viene addebitata «l’insufficiente consapevolezza della situazione della
banca e gli interventi gestionali irrealistici, quali il premio da 2,1
milioni ai dipendenti, il riacqusito della sede della controllata Banca
Federico del Vecchio per 29 milioni, il proliferare di consulenze (per
oltre 15 milioni, ndr) a ex dipendenti e amministratori per lo più
riferibili all’ex dg Luca Bronchi». Al secondo (2014-febbraio 2015,
presidente Luca Rosi, vicepresidenti Alfredo Berni e Boschi), «l’aver
lasciato inevasa la richiesta della Banca d’Italia di integrarsi con un
partner di elevato standing e l’assunzione del dg Cabiati irrispettosa
delle policies aziendali ». Tra gli investimenti «sbagliati » in
partecipate «che hanno prodotto solo perdite» è citata, infine, la Banca
Lecchese.