Repubblica 11.5.16
La rassegna
Attenti scrittori, al Salone stavolta vince la scienza
Alla
ventinovesima edizione che si apre domani a Torino la faranno da
padroni fisici, chimici e persino il robottino iCub che si aggirerà tra
gli stand Da Rovelli a Malvaldi il futuro della letteratura è dei
“global scientist”?
di Simonetta Fiori
I segnali
erano già evidenti da tempo, ma il nuovo Salone del Libro che s’apre
domani a Torino certifica definitivamente il cambio di paradigma
culturale. E per capire di cosa si tratti bisogna andare a trovare
l’ospite più richiesto, la big star che sta vagliando con pose da divo
le innumerevoli richieste di intervista: il robottino iCub, il più
intelligente tra le macchine intelligenti. «Tempo un paio d’anni e vi
potrà rispondere», scherza Roberto Cingolani, il fisico che dirige
l’Istituto italiano di tecnologia a Genova.
In attesa di vivace
scambio di idee con il robottino, bisogna prendere atto che è lui il
simbolo del cambio di passo che caratterizza questa stagione culturale.
Perché le vere star della fiera torinese non sono più gli scrittori,
romanzieri o saggisti, comunque intellettuali umanisti, ma gli
scienziati, soprattutto fisici ed astrofisici, «quei visionari capaci di
perlustrare luoghi sconosciuti, ai confini della conoscenza», dice
Guido Tonelli, uno degli scopritori del bosone di Higgs. Sono loro oggi i
nuovi maîtres à penser, adorati dalle folle in piazza e anche in
libreria, dove Carlo Rovelli vende più di King parlando di meccanica
quantistica e l’affascinante Christophe Galfard incanta i lettori sulle
origini del Big Bang: è un pupillo di Stephen Hawking molto somigliante a
Colin Firth, circostanza non sfavorevole. «Oggi il grande romanzo
intellettuale non è scritto dagli umanisti ma dagli scienziati», dice
Ernesto Ferrero, sapiente regista anche di questo Salone. «L’approccio
letterario tradizionale mostra la corda: non si sono visti negli ultimi
tempi scrittori che raccontassero qualcosa di nuovo». Così i lettori lo
vanno a cercare altrove.
Il passaggio non è di poco conto in un
paese che ha sofferto più di altri della divaricazione tra le due
culture. Il problema fu sollevato quasi sessant’anni fa da un celebre e
contestato saggio di Charles Percy Snow, che lamentava la crescente
frattura tra le due anime dell’Occidente, nella reciproca diffidenza tra
scienziati e umanisti. Da allora molto è cambiato, nel proliferare
anche in Italia di ponti tra le due sponde. Ma resiste ancora una
dissennata differenza sul piano della rispettabilità sociale tra chi
sbaglia la data della Rivoluzione Francese e chi ignora la gravità
quantistica. Come spiegarci dunque questo improvviso capovolgimento di
ruoli? «In un mondo afflitto da un’informazione usa e getta, dove le
notizie hanno vita molto breve, la scienza rappresenta un ancoraggio
certo, a cui rivolgere le grandi domande sull’origine dell’universo»,
risponde Tonelli, autore di un bel racconto sulla sua avventura al Cern (
La nascita imperfetta delle cose, Rizzoli). «Siamo percepiti come
persone serie, che dedicano vent’anni allo stesso tema e hanno cura
artigianale del proprio lavoro». Il bisogno di rigore scientifico come
reazione a un pressapochismo diffuso, anche a un presente sempre più
confuso, spaventato, precario. «Riscatto conoscitivo », lo definisce
Ferrero. «A un certo punto del nostro interminabile crepuscolo abbiamo
sentito la necessità di alzare lo sguardo, di tornare a misurarci con le
grandi domande sulla vita».
È la scienza stessa che nel suo
vorticoso progresso finisce per toccare le corde più profonde
dell’esistenza, spostando le sue frontiere sempre più avanti. «Quando ho
cominciato a occuparmi di nanotecnologie», racconta Cingolani, «certo
non mi ponevo il problema che le macchine avessero dei diritti. Ora devo
pormelo. Se esiste un codice della strada per disciplinare il traffico
di centinaia di milioni di automobili, domani sarà necessario avere un
codice per disciplinare le attività dei numerosi robot che saranno più
intelligenti delle automobili». Ecco perché la saldatura tra umanesimo e
scienza non può essere rimandata: questione approfondita anche nel suo
recente Umani e umanoidi. Vivere con i robot (con Giorgio Metta, il
Mulino). «La vera rivoluzione», prosegue Cingolani, «sta nella
interdisciplinarietà: il fisico lavora con il filosofo e con
l’economista. La figura del futuro è il global scientist che non è un
tuttologo ma ha una visione d’insieme che comprende le varie
discipline».
Vietato dunque leggere il confronto tra umanisti e
scienziati come una competizione tra avversari irriducibili. Non a caso
il Salone renderà omaggio a due scrittori nutriti di cultura scientifica
come Italo Calvino e Primo Levi. E a ricordarci quanto sia folle
separare il ragionamento matematico dalle emozioni è Marco Malvaldi,
giallista e chimico, che porterà a Torino la sua storia sentimentale
della scienza da Omero a Borges ( L’infinito tra parentesi, Rizzoli).
«L’atteggiamento di chi dice che la fisica e la poesia sono due cose
diverse non è molto lontano da quello di chi userebbe due pentole
diverse per bollire l’acqua dei fusilli e quella dei maccheroni», scrive
Malvaldi con analogia culinaria. «In fondo Borges aveva capito prima
dei neuroscienziati che l’oblio è una delle forme della memoria. E Paul
Dirac, il padre della meccanica quantistica relativistica, può essere
considerato il più grande poeta inglese di tutti i tempi».
Tutti
d’accordo nel celebrare la ritrovata intesa. Ma qualche impaccio
sopravvive, legato alla diversa velocità. «Oggi noi scienziati siamo
caricati d’una responsabilità che dovremmo condividere con altri», dice
il professor Tonelli. «Perché a noi si chiede anche di esorcizzare le
paure che la tecnica infonde. Il sentimento verso le tecnologie è
infatti duplice: da una parte le persone ne sono dipendenti, dall’altra
nutrono sospetto e paura. E allora ci chiedono: dov’è il limite? Ma noi
dovremmo poter rispondere insieme agli studiosi di filosofia e di
etica». In sostanza, dice Tonelli, la tecnologia procede con un passo
così veloce che le scienze umane faticano a starle dietro. «Sì, alcune
discipline hanno finito per sparigliare, mentre altre restano ancorate a
se stesse», concorda Cingolani. «Per un umanista è più difficile
entrare nel regno dei numeri, mentre è più facile il contrario. Però non
traccerei graduatorie tra il dinosauro e l’alieno. Siamo come un gruppo
di ciclisti, in cui qualcuno ha staccato in avanti e altri faticano un
po’: ma siamo lo stesso gruppo perché siamo parte di un processo
culturale che sta evolvendo».
Perché una cosa abbia successo è
necessario che ci sia qualcuno che sappia raccontarla. E la popolarità
della scienza è legata anche a questa novità: la nascita del fisico
scrittore, che non si limita all’architettura dell’universo ma mette in
gioco se stesso. «I libri di divulgazione li ho sempre trovati molto
noiosi», dice Tonelli. «Mi viene in mente Leon Lederman: molti
tecnicismi e nessuna accensione emotiva. Per questo nel libro sulla
scoperta del bosone di Higgs ho raccontato anche le mie emozioni:
l’entusiasmo, le delusioni, un lutto profondo come la morte di mio
padre. Anche per dimostrare che non siamo macchine, ma creature
sentimentali ». I romanzieri di professione sono avvertiti: non sarà una
partita facile.