Repubblica 10.5.16
Neonazisti al posto degli operai, così Vienna “la rossa” diventa capitale dell’estremismo
L’immagine
della città felice e in testa alle classifiche del benessere si scontra
con una realtà fatta di diffidenza e convivenza difficile
di Tonia Mastrobuoni
VIENNA. IL VELO è punk. È diventato un segno di protesta, di rifiuto.
Le
ragazzine lo indossano con aria di sfida, poi si mescolano con le loro
compagne di classe senza velo, vanno a braccetto con loro per le vie di
questo vecchio quartiere popolare, ridono spensierate come loro. Non
necessariamente sono musulmane praticanti, ma sono orgogliose delle loro
radici. E si sentono oppresse da una società che vorrebbe obbligarle a
scegliere, a optare per il bianco o il nero, per la religione o
l’Austria. «Il velo è il loro simbolo del rifiuto, anche nei confronti
di queste nuove destre ultranazionaliste », spiega Kurt, aspirando con
voluttà la sua sigaretta. «La novità è che le ragazze con o senza velo
non si evitano più a vicenda, come una volta. Stanno insieme, sono
oppresse dalle stesse tensioni sociali, solidarizzano». Siamo in uno dei
tantissimi caffè viennesi dove si fuma ancora: da trent’anni Kurt fa
l’assistente sociale in uno dei quartieri più degradati della capitale
austriaca.
UNO DEI tanti quartieri colpiti dalle
ultime, grandi ondate migratorie e abbandonati a un’integrazione
faticosa. Quelli che una volta erano i fieri e rossi quartieri operai di
Vienna, e che si stanno trasformando nelle roccaforti della rabbia
nazionalista. Kurt non può neanche rivelarci il suo nome per intero.
Negli
ultimi trent’anni la “Vienna rossa”, governata dall’immarcescibile
Michael Häupl, si è crogiolata nell’immagine della città felice,
riconquistata ad una qualità della vita stellare, secondo molte
classifiche internazionali. Ieri il sessantaseienne, uno dei personaggi
più influenti del partito socialdemocratico, ne ha preso
provvisoriamente in mano le redini dopo la grave crisi politica
provocata dalle dimissioni del cancelliere socialdemocratico Werner
Faymann. I “rossi” sono arrivati quarti, al primo turno delle
presidenziali; lo tsunami della crisi dei profughi ha ridotto le due
Volksparteien che hanno dominato il quadro politico del dopoguerra a un
quarto dei voti. Faymann ne ha tratto le conseguenze.
Nel
frattempo, a Vienna, interi quartieri stanno passando armi e bagagli
all’ultradestra di Heinz-Christian Strache. Il 22 maggio prossimo il
favorito alle presidenziali è il suo candidato, Norbert Hofer. Se
vincerà, anche Vienna continuerà a cambiare colore. Una prospettiva
drammatica.
Perchè mentre cominciano ad emergere i problemi di
un’integrazione parzialmente fallita, aumentano le pressioni
dell’ultradestra. Secondo i dati più recenti dell’Ufficio federale di
salvaguardia della Costituzione, le aggressioni e i crimini di gruppi di
estrema destra e neonazisti sono aumentati del 40% in un solo anno, in
Austria. Una polarizzazione che in quartieri come quello dove lavora
Kurt stanno già creando situazioni esplosive.
Uno dei nodi che
stanno venendo al pettine è che la giunta socialdemocratica ha preferito
spesso, come dimostra il caso di Kurt, spazzare i problemi sotto il
tappeto. L’assistente sociale cinquantacinquenne non può dirci il suo
nome per questo, «perché siamo obbligati a parlare bene
dell’intergrazione, a nascondere ufficialmente i problemi, a raccontare
la favola dei musulmani che si integrano». Ma qualche crepa,
ultimamente, è emersa. Un’inchiesta recente ha avuto l’effetto di una
bomba sulla politica austriaca, già scossa dalla crisi migratoria
dell’ultimo anno. Un professore di pedagogia viennese, Edna Aslan, ha
rivelato in uno studio commissionato dal ministero dell’Interno
l’esistenza di circa 150 asili islamisti, nella capitale. Diecimila
bambini vengono educati da gruppi di salafiti, dai Fratelli musulmani e
da altre organizzazioni simili, ad introiettare i precetti dell’Islam
più radicale. In questi asilo si parla quasi solo in arabo o turco, si
insegna ad evitare la cultura pluralista europea, si impara a memoria il
Corano, a disprezzare le donne. «A volte, per strada, questi ragazzini
di cinque anni fermano le donne senza velo e le insultano», racconta
Kurt.
In realtà, l’area attorno al mercato di questo distretto
poco distante dalla stazione centrale somiglia a mille altri quartieri
europei trasformati dall’immigrazione, case basse, negozi dalle insegne
al neon o fosforescenti, anziani col capo coperto che chiacchierano
gesticolando, donne col velo che passano veloci, studenti dall’aria
indaffarata. Nulla di eclatante. Una volta, era il quartiere delle
fabbriche di mattoni e dei panifici, ora gli operai e gli abitanti
parlano altre lingue, molti vengono dall’Est Europa.
Josef Andrà
gestisce un banco di frutta del mercato della piazza centrale,
intitolata ad un grande socialdemocratico austriaco, Viktor Adler. La
sua famiglia lo aprì nel 1871, ma le figlie vogliono fare l’università;
quando andrà in pensione, Josef chiuderà il banco, dopo cinque
generazioni. Ma il settantenne alza le spalle, sorridendo, «È la vita». E
non è affatto infastidito dai suoi vicini egiziani, tunisini o turchi.
Invece, è terrorizzato all’idea che si chiuda il Brennero: «Vede queste
belle fragole? Vengono dall’Italia. Se bloccheranno il confine, dovrò
L’integrazione
non funziona: e interi quartieri passano al partito di Strache In molte
zone vivono solo immigrati: le donne senza velo sono insultate anche
dai bambini
Militanti xenofobi di Pegida durante una manifestazione contro i migranti a Vienna