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Cattivissimi noi la normalità dell’odio nella lotta politica
Dipingere
l’avversario come nemico assoluto non è una novità. Ma ora il disprezzo
ha bisogno di spostarsi su interi gruppi e comunità
di Luigi Manconi
Premessa:
è scontato che, sulla questione dell’immigrazione, o su altre
problematiche non meno incandescenti, possano esservi opzioni culturali e
politiche pubbliche totalmente diverse. I conflitti che ne derivano
possono risultare assai aspri e fin dirompenti. E anche i vocabolari dei
due schieramenti che si affrontano possono esserne condizionati e
manifestarsi con particolare violenza. Ma, acquisito tutto questo, nel
dibattito in corso si avverte qualcosa di terribilmente sgradevole. Un
sapore di meschinità cattivista e di infamia dozzinale, che sembra
perseguire più un effetto euforizzante che una argomentazione razionale a
sostegno di una tesi o di quella opposta. E quell’effetto euforizzante
si affida a fattori di colpevolizzazione e a procedure di persecuzione e
di degradazione dell’altro.Si diràche anchequesti possono essere
strumenti di lotta politica, quando questa diventa particolarmente
cruenta. Ma c’è il rischio che, con ciò, si sottovalutino gli effetti
perversi dell’avvelenarsi dello scontro politico. E di quanto può
arrivare a produrre di malsano, fino all’odio. In altre parole, si può
dire che, ormai da qualche tempo, l’odio è tornato a pieno titolo a
manifestarsi nel conflitto politico e sociale. Negli ultimi decenni,
mentre la criminalizzazione personalizzata del leader avversario e il
suo character assassination raggiungevano il picco - con la
ipostatizzazione di Silvio Berlusconi in trofeo di guerra - il
dispositivo dell’odio tendeva a spostarsi verso gruppi, comunità e
collettività. Tra i bersagli privilegiati, gli immigrati, i richiedenti
asilo, i rom e i sinti. Tutti i provvedimenti relativi alle materie
appena richiamate vengono promossi, accompagnati e incentivati da
processi di mortificazione dell’oggetto stesso di quelle politiche.
Quasi che misure di controllo, reclusione e di espulsione non possano
realizzarsi che con il sostegno di un linguaggio e di una politica del
disgusto. La spiegazioneè semplice e, allostesso tempo, corrisponde a
una confessione: il contenuto di quelle misure esige, peressere motivato
e ottenere consenso, di essere adottato nei confronti di chi si trovi,
per le più diverse ragioni, nella sfera del“di - sprezzabile”. Sotto
questo profilo, quelle tre principali figure prima richiamate -
l’immigrato, il profugo e il rom - presentano esattamente tutti i
caratteri del “disgusto”: non sono come noi, pretendono di essere come
noi, risultano irriducibilmente altro da noi. E la fisiognomica esalta
tutto ciò. Enfatizza, cioè tratti della personalità e connotati fisici,
stili di vitae forme di relazione, parole e gesti, che non solo li
rendono irreparabilmente diversi,mafinisconocon l’attribuire loro un
carattere e un’immagine tali da suscitare ribrezzo. Il che sembra
imporre presa di distanza e strategie di repulsione/espulsione. Ciò
significa che, in qualche modo, l’odio è necessario. E soprattutto
rischia di insediarsi stabilmente come fattore qualificante della lotta
politica in tempi di crisi. Qui emerge una novità che va colta. Non c’è
dubbio che in questo dopoguerra, ciò che ho chiamato avversione totale
abbia percorso sentimenti e comportamenti di una parte significativa dei
due principali schieramenti in conflitto, a partire da una categoria,
quella del nemico assoluto, che univa i campi antagonisti. Mentre questa
tensione estrema e radicale andava attenuandosi, smilitarizzandosi e
politicizzandosi secondo regole condivise, il fuoco degli anni Settanta
rilanciò quella categoria di nemicità che tuttavia coinvolse solo
segmenti minori della società nazionale. Negli anni successivi, anche lo
scontro politico più acre non vide contrapposti nemici, bensì
avversari. Il berlusconismo, come si è detto, si avvicinò
pericolosamente aquella dimensionedi bersagliototale, ma in realtà non
ne assunse mai la valenza assoluta. Oggi, questo può accadere perché -
in uno scenario connotato da lacerazioni economiche, sociali e
istituzionali - il bisogno di un nemico-capro espiatorio si è fatto più
urgente. Il vocabolario di quotidiani, trasmissioni radiofoniche e
televisive, leader politici e, soprattutto, la comunicazione online,
sembrano non conoscere limiti, tabù, autocensure e autocontrollo. Questo
investe solo in parte l’avversario politico, effettivamente ridotto a
nemico in alcune circostanze, e coinvolge invece alcuni gruppi e alcune
minoranze. È in questo clima che monta ciò che ho chiamato cattivismo:
il piacere efferato di non provare compassione, la soddisfazione acida
per l’uso brutale della forza, la tonalità belligerante del linguaggio.
Nulla di tutto ciò è richiesto, in teoria, per argomentare e sostenere
determinate politiche. Ma il gusto di Matteo Salvini nel comunicare la
suavoglia di“prendere acalci inculo iclandestini”, la miserabile
retorica della ruspa; e, poi, l’ag - gressività torva contro “i
sorrisi”di Doina Matei; e l’assenza di pietà verso Bernardo Provenzano
che, ridotto com’è in uno stato vegetale, non dovrebbe più essere
considerato un nemico assoluto, ma un individuo in agonia. E nella sfera
politica, il linguaggio feroce contro l’ex ministro Elsa Fornero,
l’attuale premier Matteo Renzi e quelli precedenti, in particolare
Silvio Berlusconi, ma anche contro Mario Monti, e le tortuose
minacceindirizzate aLucia Borsellino;e, nel passatodi moltidi noi,quante
paroletruci. Più in generale, il moto di rivalsa sociale che
infallibilmente colpisce chiunque - tanto più se inizialmente vissuto
come esempio di virtù - rivela una debolezza, palesa un cedimento,
tradisce una crisi: tutto ciò, non va sottovalutato. La derisione del
buo - nismo (atteggiamento quanto mai deprecabile) precipita rapidamente
in esaltazione della spietatezza; la critica della solidarietà (virtù
anch’essa assai discutibile) si fa in un batter d’occhio trionfo
dell’egotismo più ottuso; l’enfasi sul realismo giustifica la
prevaricazione più efferata. Tutto ciò, va da sé, è miseria. Priva di
qualunque razionalità e mera espressione di conformismo atavico e di
antiche feroci pulsioni. Purtroppo, non si tratta di secrezioni innocue.