mercoledì 11 maggio 2016

La Stampa TuttoScienze 11.5.16
Inizia in una grotta della Puglia l’esplorazione nel Dnadei primi europei
di Stefano Rizzato

Mesi di lavoro, chini su frammenti di cranio e denti di migliaia di anni fa, per scoprire come l’Homo è diventato uomo. Una collaborazione internazionale per trovare risposte chiare, scritte dentro eliche di Dna di individui vissuti quando non esisteva l’agricoltura. Così è nato il più completo e accurato ritratto genetico delle popolazioni europee dell’era glaciale, pubblicato su «Nature».
È il frutto del lavoro di oltre 50 scienziati di diverse discipline, che hanno ricostruito la storia genetica di 51 individui vissuti in Europa tra 45 mila e 7 mila anni fa. Sono riusciti a fotografare l’evoluzione umana in un momento decisivo: quello che ha visto i tratti dell’uomo di Neanderthal fare spazio a caratteristiche più moderne e «vincenti» nella catena dell’evoluzione. Lo studio ha infatti confermato il declino del Dna neanderthaliano presente nel genoma moderno. Nei campioni analizzati gli studiosi hanno trovato valori tra il 3 e il 6% di questo patrimonio genetico arcaico. Un patrimonio che nell’umanità attuale si è ridotto a meno del 2%, in quanto «evolutivamente svantaggioso».
«È un lavoro destinato a diventare un caposaldo della ricerca genetica sull’uomo europeo, e probabilmente ad essere utilizzato come base anche per studi successivi». A spiegarlo è David Caramelli, direttore del Laboratorio di antropologia molecolare e paleogenetica dell’Università di Firenze. Il suo centro rappresenta uno dei nodi cruciali della rete della ricerca. Una rete che ha coinvolto l’Italia su più livelli. Tre dei campioni fossili utilizzati per le analisi di biologi e genetisti sono stati ritrovati a Grotta Paglicci, in Puglia, grazie al lavoro di Annamaria Ronchitelli dell’Università di Siena.
Quei reperti sono stati analizzati a Firenze, dove se ne sono occupati proprio Caramelli e Martina Lari. «La scoperta che colpisce più di tutte - osserva il biologo - è quella che riguarda il Dna neanderthaliano: è una conferma di quanto si sospettava, ma una conferma importante. Nei reperti si vede la selezione naturale a vantaggio dell’Homo sapiens, sotto forma di sostituzioni proteiche nel patrimonio genetico».
Per un periodo - com’è noto - Neanderthal e sapiens sono vissuti sotto lo stesso cielo. Ma poi solo uno dei due ha prevalso nella guerra evoluzionistica. E in parte è successo nel periodo preso in esame dal team internazionale. «Abbiamo iniziato tre anni e mezzo fa - spiega Caramelli - e uno dei passaggi più delicati è stato l’analisi preliminare dei campioni. Di ciascuno dei reperti più promettenti è stato fatto uno screening sul Dna mitocondriale per capire quante molecole leggibili avremmo avuto a disposizione. Così, per esempio, i campioni pugliesi di partenza erano oltre 80. Quelli con un genoma utilizzabile solo tre».
Già così c’è da ritenerla una fortuna. Nel Sud Europa, anche per le condizioni climatiche, è raro trovare reperti così datati eppure in buono stato di conservazione. «Un’altra scoperta importante - aggiunge Caramelli - riguarda uno dei ceppi a cui appartenevano i primi europei. Era un ceppo che consideravamo estinto circa 33 mila anni fa e invece è riapparso in alcuni campioni risalenti alla fine del massimo glaciale, circa 20 mila anni fa. E poi abbiamo individuato, già 14 mila anni fa, una nuova componente genetica che oggi è presente nelle popolazioni del Vicino Oriente. La traccia di un popolo che da lì probabilmente si spostò verso l’Europa, via via che procedevano il riscaldamento climatico e il ritirarsi dei ghiacci».
Allo studio hanno collaborato università ed enti di tutto il mondo sotto la supervisione di alcuni dei protagonisti del settore: David Reich dell’Harvard Medical School, Svante Pääbo del Max Planck Institute di Lipsia e Johannes Krause dell’Università di Tubinga. «Sono state utilizzate anche tecnologie sofisticate - continua Caramelli - e progettate per queste ricerche. È il caso del chip human origin, chip che serve a catturare a grandi velocità un enorme numero di regioni nell’analisi del Dna. È anche così che siamo giunti ad un’altra scoperta: nello stesso periodo di cui abbiamo appena parlato è attestato un contatto con popolazioni dell’Estremo Oriente. Un altro fattore di trasformazione del paesaggio umano europeo».