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Se sei curdo non devi fare gol
Una multa tragicomica ai giocatori antiviolenza
di Esmahan Aykol
L’Amedspor
è stato punito dalla Federazione calcistica turca con una multa per
essere sceso in campo, a febbraio, con uno striscione su cui c’era
scritto: «Che i bambini non muoiano, che i bambini vengano allo stadio»,
per condannare gli spari contro i bambini e i civili durante i
combattimenti in corso da mesi nella città di Diyarbakır. È forse la
multa più tragicomica che ha subito la squadra... Il 19 maggio finisce
la stagione calcistica. Chissà cosa vivremo su queste fertili terre il
prossimo anno…
Si dice: «Il calcio non è solo un
gioco». Nelle società maschiliste, gli stadi sono microcosmi: il luogo
dove l’odio, l’intolleranza e il razzismo sono visibili e palpabili. E
quelle modeste misure adottate dalla Fifa non bastano a impedire gli
insulti razzisti nei confronti dei calciatori. Ovviamente le tribune di
per sé non generano razzismo, ma le tendenze fasciste e l’intolleranza
create dalla mano dello Stato nella società, si riflettono su di esse.
Infatti, mentre negli stadi europei coloro che subiscono attacchi
razzisti sono in genere giocatori di colore e/o immigrati, in Turchia
sono i soliti nemici: curdi e armeni.
In Turchia, il fascismo
negli stadi non è un argomento all’ordine del giorno. Le autorità, i
mass media che si fanno portavoce dello Stato, la stampa sportiva, si
comportano come se tutto rientrasse nella norma. Negli stadi turchi, è
usuale chiamare «Armeni!» i tifosi di una squadra rivale, o gridare lo
slogan: «Chi non salta è un armeno!» Le autorità li definiscono slogan
«sgradevoli», ma coloro che li ripetono non vengono in alcun modo
puniti.
Nel 2009, il fatto che dei circa ventimila biglietti
disponibili per l’incontro fra la nazionale turca e quella armena, a
Bursa, seguito anche dai capi di stato dei due paesi in virtù
dell’atmosfera di pace che si respirava in quel periodo, settemila
fossero stati dati ai poliziotti in borghese, settemila agli impiegati
statali e quattromila fossero stati venduti solo sottobanco tramite i
tifosi, chiarisce quanta paura avesse lo Stato del mostro che ha creato
da sé. Quella partita, che vide la sconfitta dell’Armenia per 2 a 0,
filò via senza insulti né incidenti.
Al termine della stagione
calcistica 2012-13, quando il Diyarbakır Büyükşehir Belediyespor è
salito in serie C, ha chiesto di sostituire il proprio nome con Amedspor
e così, sui campi di calcio, è spuntato un nuovo obiettivo da colpire.
Certo, quel nuovo nome di per sé era un problema... Amed (Amid, Amida),
definita un grande centro economico e culturale dell’Oriente nelle fonti
persiane, romane e bizantine, oggi è il nome curdo di Diyarbakır.
Nonostante la Federazione calcistica turca (TFF) all’inizio avesse
cercato di ostacolare, con una scusa, la sostituzione del nome, non
esistendo più il divieto dell’uso dei nomi curdi grazie all’adattamento
delle norme seguito alla richiesta di adesione all’Unione Europea,
l’Amedspor è riuscito a scendere in campo con il suo nuovo nome, e i
colori verde e rosso, durante la stagione calcistica 2014-15.
Grazie
al «processo di pace» fra lo Stato turco e i politici curdi, l’Amedspor
ha vissuto serenamente la sua prima stagione in serie C. A metà del
2015, quando questo processo di pace si è interrotto e sono ripresi i
combattimenti, l’Amedspor ha avuto la sua buona parte di disavventure
negli stadi, per via dell’islamizzazione sostenuta dal nazionalismo e
dal militarismo: le squadre che incontravano l’Amedspor si concentravano
come se dovessero giocare per la partita e invitavano i tifosi a una
solidarietà nazionale, con lo slogan: «Prendi la bandiera turca e vieni
allo stadio!» E ora il cronista, quando parla dei calciatori
dell’Amedspor, dice «loro», si rallegra quando subiscono un gol e si
rammarica quando lo fanno, il calciatore che segna una rete all’Amedspor
fa pure il saluto militare e i gol realizzati vengono annunciati dalla
stampa con la frase «Abbiamo lanciato il razzo»; i calciatori
dell’Amedspor vengono insultati in coro, gli alberghi non li
accettano... E se tutto questo non basta, si cerca di linciare i
dirigenti del club come è successo ad Ankara, alla fine di aprile,
quando l’Amedspor ha vinto 2 a 1 contro l’Ankaragücü, la squadra della
capitale.
Il vicepresidente dell’Amedspor, Nurullah Edemen,
aggredito dopo la partita con una mazza di ferro che gli ha spaccato il
naso e ferito un occhio, ha dichiarato: «Tutto questo non è umano.
Abbiamo rischiato la vita. L’unico responsabile di questi eventi è la
Federazione calcistica turca, che dall’inizio della stagione non punisce
le aggressioni razziste nei confronti dell’Amedspor. Abbiamo avviato
una causa. Se qui non riusciamo a ottenere un risultato, ci rivolgeremo
ai tribunali internazionali, all’Uefa e alla Fifa».
Un paio di
giorni dopo il linciaggio, la Federazione ha stabilito le ammende:
l’Ankaragücü avrebbe giocato due partite in casa a porte chiuse e due in
campo neutro, oltre a pagare una multa di 25.000 lire turche (circa
7.500 euro).
La Federazione ha gli occhi bendati, non vede ciò che
si fa all’Amedspor. Inoltre, riempie di sanzioni il club, i tifosi e il
suo giocatore più importante, Deniz Naki, trasformandoli in bersagli.
Deniz
Naki, chiamato «il Lucarelli dell’Amedspor», è nato in una famiglia
operaia, curda alevita, immigrata in Germania da Dersim. Ha iniziato la
sua carriera nel Bayer Leverkusen e ha giocato nell’FC St. Pauli; nella
stagione 2013-14 ha militato in una squadra di Ankara, il
Gençlerbirliği. Con un tatuaggio che reca il nome di Che Guevara sulla
mano sinistra, e due sugli avambracci, «Dersim 62» e «Azadi» («libertà»
in curdo), dopo un’aggressione a sfondo razzista avvenuta ad Ankara, per
strada, è tornato in Germania, ma all’inizio della nuova stagione ha
ripreso a giocare in Turchia.
A gennaio, dopo la vittoria
dell’Amedspor contro il Bursaspor per 2 a 1, è stato squalificato per
dodici giornate, rimediando anche un’ammenda di 19.500 lire turche
(circa 6.000 euro), con l’accusa di «discriminazione e propaganda
ideologica» per le «gravi dichiarazioni sul piano sportivo» condivise su
un social
network.
Il post che ha causato questa stangata
record recitava: «Oggi abbiamo ottenuto una vittoria davvero importante.
Siamo usciti a testa alta dal gioco violento dei nostri avversari.
Siamo felici e orgogliosi di essere un piccolo spiraglio di luce per il
nostro popolo, in un periodo così difficile. Come Amedspor non abbiamo
abbassato la testa né l’abbasseremo. Siamo entrati in campo con la
fiducia nella libertà, e abbiamo vinto. Perché noi abbiamo seminato i
nostri germogli nella libertà e nella speranza. Riteniamo doveroso
ringraziare tutti i nostri politici, artisti, intellettuali e la nostra
gente che ci ha sostenuti, e dedichiamo la vittoria a coloro che hanno
perso la vita o sono stati feriti durante la persecuzione che continua
da più di cinquanta giorni nelle nostre terre. Her biji Azadi (Viva la
libertà)».