La Stampa TuttoLibri 14.5.15
Longanesi
L’Italia del grande Leo non può fare la rivoluzione perché “ci conosciamo tutti”
Giornalista, scrittore, disegnatore, editore, geniale inventore di aforismi cinici e veritieri
di Marcello Sorgi
Per
chi aveva vent’anni in Sicilia a cavallo degli Ottanta, lo scrittore di
riferimento era Leonardo Sciascia, con la sua passione razionale per i
diritti e per la giustizia, la sua prosa corrosiva del regime politico
democristiano e di quello culturale comunista. Invece Buttafuoco, di una
generazione più giovane, riscopre in una sua personalissima antologia
(Il mio Leo Longanesi) il giornalista, scrittore, disegnatore, pittore,
editore, ma soprattutto il geniale inventore di aforismi cinici e
veritieri, che ancor oggi mettono a nudo un certo intramontabile
carattere degli italiani. «La rivoluzione in Italia non si può fare
perché ci conosciamo tutti», scriveva il grande Leo. Oppure: «Tutte le
rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola».
Romagnolo
di Bagnacavallo radicato a Bologna e poi a Roma e a Milano, nato nel
1905, cresciuto durante il fascismo e morto giovane, a soli 52 anni,
nell’Italia anti e post-fascista, Longanesi viene scoperto da un
Buttafuoco adolescente nella soffitta della paterna casa familiare
siciliana, dov’è custodita una collezione de «Il Borghese», uno dei
giornali che aveva fondato e diretto e gli era sopravvissuto. Nasce di
lì l’idea di una scelta del meglio delle varie stagioni longanesiane,
con due obiettivi.
Il primo è dimostrare l’assoluta superiorità
della «fronda», cioè quella particolare forma di presa in giro
dall’interno del regime, che consentì a Longanesi di essere il più acuto
canzonatore del fascismo e insieme il più strategico collaboratore di
Mussolini nella comunicazione (suoi slogan come «Taci, il nemico ti
ascolta» o «Veterani si nasce»), rispetto a qualsiasi tipo di critica e
opposizione seria, ragionata o trombonesca: tra l’altro, secondo
Buttafuoco, le tre categorie non si elidono, ed anzi molto spesso
convivono. Il fondamento di ciò sta nell’affermazione di Longanesi
secondo cui i regimi «non consentono la battuta di spirito, ma hanno il
merito di provocarla».
Il secondo obiettivo è riconoscere
l’assoluta insufficienza, per non dire l’inconsistenza, della borghesia
italiana di qualsiasi epoca e di qualsiasi ordine e grado - piccola,
media o grande -, di fronte ai compiti che le competono e che gran parte
delle borghesie del mondo sono in grado di svolgere decentemente o con
qualche limite, ma mai precipitando tanto spesso nel ridicolo com’è
accaduto e continua ad accadere alla nostra. E qui l’antologia di
Buttafuoco tocca l’apice del divertimento con la raccolta delle migliori
descrizioni dello scrittore dell’Italietta dei tempi della «battaglia
del grano», della «bonifica culturale» (tra l’altro Longanesi era
convinto che molto più dell’abolizione della libertà di stampa da parte
del fascismo, sulla qualità dell’informazione di quegli anni, avesse
giocato l’inveterata tendenza all’autocensura e alla «versione
ufficiale» dei giornalisti italiani), della retorica sull’Antica Roma,
per arrivare alle pagine deliziose sulla campagna d’Africa e sulla
nascita dell’Impero, seguita all’esagerata enfatizzazione dello storico
incidente di Ual Ual. L’Italia del «posto al sole» e degli italiani che
sognano «di sposarsi con le negre», delle canzonette che celebrano i
fidanzati che partono per l’Africa Orientale, di quelli che fanno i
conti delle convenienze che ci saranno a diventare «reduci», e «se
l’Africa si piglia si fa tutta una famiglia».
Poi c’è il Longanesi
giornalista, amico di Montanelli, Moravia, Flaiano, Brancati,
Pannunzio, Benedetti, inventore di un settimanale come «Omnibus» che
sarà la fucina del nuovo modo di informare attraverso le immagini, la
scoperta delle foto, che i quotidiani impiegheranno altri vent’anni
prima di saper usare, e che il nostro trasforma in un ingrandimento dei
tic e tabù di uno Strapaese, l’Italia, diventata nel frattempo «una
democrazia in cui un terzo dei cittadini rimpiange la passata dittatura,
l’altro attende quella sovietica e l’ultimo è disposto ad adattarsi
alla prossima dei democristiani».
Alla fine di una breve vita,
Longanesi morì circondato da pochi amici, tra cui lo stesso Montanelli
con cui era andato in giro nel ’48 con una macchina e un altoparlante a
fare comizi volanti anticomunisti contro il Fronte popolare. Fu proprio
Indro a ricordare che la figlia Virginia, per ricordarlo, al funerale
disse una frase che sarebbe piaciuta molto al padre: «E dire che gli
orfani mi sono sempre stati così antipatici!».