lunedì 16 maggio 2016

La Stampa TuttoLibri 14.5.15
“Nella mia Gedda il male umano non conosce limiti”
Parla l’autore all’indice per i romanzi-denuncia sulla violenza di un mondo troppo ricco
di Elisabetta Pagani

Si procede con circospezione tra le pagine di Le scintille dell’inferno, quasi si rischiasse la sorte atroce di uno dei suoi personaggi. Violentati in un vicolo di un quartiere disgraziato di Gedda da un ragazzino appena più muscoloso o cooptati in un palazzo scintillante da un tiranno volubile e crudele come tutti i tiranni. Due mondi lontanissimi eppure complementari, il cui filo rosso è il terrore in cui vivono i loro abitanti
«Il romanzo denuncia il dispotismo e l’abuso di potere - ci racconta l’autore Abdo Khal, che vive a Gedda - e getta con decisione, non in punta di piedi, una luce critica sui fenomeni sociali. È normale aspettarsi una risposta contraddittoria». Se da un lato, infatti, il libro ha vinto l’International Prize for Arabic Fiction, il Booker Prize del mondo arabo per la prosa (nel 2010), dall’altro è stato messo all’indice da alcuni critici arabi, che «ritengono calunni i valori morali della nostra società», anche se, puntualizza lo scrittore, «non è così».
Nel suo Paese, l’Arabia Saudita, Le scintille dell’inferno è bandito. Censurato come la maggior parte delle sue opere (la prima, un racconto nero e violento di cadaveri e necrofili, è praticamente introvabile). Proprio per questo motivo un brano del romanzo sarà letto stasera al Salone del libro di Torino - dove Khal non sarà presente perché non gli è stato concesso il visto - durante l’incontro «Quaderni dal carcere arabo», dedicato a scrittori che, come lui, non hanno potuto pubblicare in patria, a cui è vietato l’espatrio o che sono stati incarcerati. Scrittori con i quali comunicare è difficile, e soprattutto un’operazione molto delicata.
Nel suo romanzo, Khal ripercorre la vita di Tareq, ambizioso ed irruente ragazzino di un quartiere di Gedda dilaniato dalla microcriminalità. Un quartiere che da bambino vede sventrare per far spazio al lussuoso palazzo che un uomo potente, chiamato semplicemente «il Padrone», si fa costruire. Un racconto che è una metafora della realtà, aveva detto l’autore, una «realtà esistente, simile a un incubo nei suoi orrori». E ancora, «un laboratorio in cui il male umano è testato ed esteso a limiti inimmaginabili». Travolto e contaminato dal «male umano» sarà anche Tareq, il protagonista. Come tutti i suoi coetanei, una generazione cresciuta sognando donne, buon cibo e auto di lusso, da ragazzino fisserà i cancelli dorati del palazzo sognando di varcarli finché, un giorno, non solo ci riuscirà, ma diventerà - suo malgrado - uno dei servitori più fedeli di quell’uomo così influente. Tareq, giovane violento e affamato di sesso, verrà individuato per portare a termine un’unica missione: stuprare e torturare i nemici del padrone, santificato dalla stampa ma spietato nella realtà. Dopo trent’anni, Tareq si sentirà intrappolato nella sporcizia di quella vita. «Non mi allontano mai dallo sguardo del Padrone - racconta di sé quand’è ormai adulto -. Conosce ogni mio minimo movimento. Come un aquilone, volteggio nel cielo, legato a un filo sottile. Quando lo tira, precipito, mi abbatto nella polvere, aspettando che mi lanci di nuovo nella direzione del vento per ricominciare a volare».
Il libro, che insiste sulle umiliazioni che i personaggi impongono o subiscono, «è stato fortemente criticato per il suo linguaggio provocatorio - commenta Khal - e c’è chi ha detto che il suo successo è dovuto proprio al fatto che è scandaloso, ma io credo che un’opera possa essere giudicata male se ci si concentra su aspetti parziali senza comprenderla nella sua interezza».
Dalle pagine di Le scintille dell’inferno emerge la critica della ricchezza senza limiti e delle disuguaglianze che crea in una società, come quella saudita, caratterizzata dall’enorme potere politico ed economico concentrato nelle mani di pochi. «Il mio romanzo è un alterco tra due mondi, quello della ricchezza decadente e quello della povertà più amara - sottolinea l’autore - descrive questi mondi in grande dettaglio. Sta al lettore giudicarne gli aspetti scandalosi o la bellezza letteraria». L’autore affronta con consapevolezza i temi più scomodi per la società in cui vive (e non solo). «Credo che ogni romanzo debba alludere al “triangolo dei tabù arabi”, composto da religione, politica e sessualità - spiega - e io descrivo i cambiamenti sociali di Gedda senza nascondere questi tabù».
La vittoria dell’Arabic Booker Prize ha dato un’eco maggiore al romanzo. «L’assegnazione di questo premio, il più importante per uno scrittore arabo e dalla regione del Golfo, può contribuire a rompere il monopolio di quello che è conosciuto come il “centro” della cultura araba. La creatività non ha nulla a che fare con la divisione geografica e non esistono un centro e una periferia della letteratura araba». Soprattutto, prosegue, perché «la regione del Golfo è sull’orlo di una nuova era e sta diventando un epicentro importante della globalizzazione. Un ulteriore motivo per prestare maggiore attenzione alle realizzazioni dell’uomo in quest’area».
Le scintille dell’inferno posiziona la lente d’ingrandimento su quell’area, raccontando una società in cui «si applicano due pesi e due misure» e chiedendo «maggiori ambiti di libertà» sottolinea Khal. Quella libertà che cerca disperatamente Tareq, che già dalle prime pagine si sente come «un pesciolino appeso all’amo di un pescatore, o trascinato nella rete della sua barca». Un pesciolino che, da quando è stato preso in quella rete, non pensa «che a questo: che [la barca] rallenti, che si fermi. Per riuscire a trovare un modo di passare attraverso le maglie».