La Stampa TuttoLibri 14.5.15
“Nella mia Gedda il male umano non conosce limiti”
Parla l’autore all’indice per i romanzi-denuncia sulla violenza di un mondo troppo ricco
di Elisabetta Pagani
Si
procede con circospezione tra le pagine di Le scintille dell’inferno,
quasi si rischiasse la sorte atroce di uno dei suoi personaggi.
Violentati in un vicolo di un quartiere disgraziato di Gedda da un
ragazzino appena più muscoloso o cooptati in un palazzo scintillante da
un tiranno volubile e crudele come tutti i tiranni. Due mondi
lontanissimi eppure complementari, il cui filo rosso è il terrore in cui
vivono i loro abitanti
«Il romanzo denuncia il dispotismo e
l’abuso di potere - ci racconta l’autore Abdo Khal, che vive a Gedda - e
getta con decisione, non in punta di piedi, una luce critica sui
fenomeni sociali. È normale aspettarsi una risposta contraddittoria». Se
da un lato, infatti, il libro ha vinto l’International Prize for Arabic
Fiction, il Booker Prize del mondo arabo per la prosa (nel 2010),
dall’altro è stato messo all’indice da alcuni critici arabi, che
«ritengono calunni i valori morali della nostra società», anche se,
puntualizza lo scrittore, «non è così».
Nel suo Paese, l’Arabia
Saudita, Le scintille dell’inferno è bandito. Censurato come la maggior
parte delle sue opere (la prima, un racconto nero e violento di cadaveri
e necrofili, è praticamente introvabile). Proprio per questo motivo un
brano del romanzo sarà letto stasera al Salone del libro di Torino -
dove Khal non sarà presente perché non gli è stato concesso il visto -
durante l’incontro «Quaderni dal carcere arabo», dedicato a scrittori
che, come lui, non hanno potuto pubblicare in patria, a cui è vietato
l’espatrio o che sono stati incarcerati. Scrittori con i quali
comunicare è difficile, e soprattutto un’operazione molto delicata.
Nel
suo romanzo, Khal ripercorre la vita di Tareq, ambizioso ed irruente
ragazzino di un quartiere di Gedda dilaniato dalla microcriminalità. Un
quartiere che da bambino vede sventrare per far spazio al lussuoso
palazzo che un uomo potente, chiamato semplicemente «il Padrone», si fa
costruire. Un racconto che è una metafora della realtà, aveva detto
l’autore, una «realtà esistente, simile a un incubo nei suoi orrori». E
ancora, «un laboratorio in cui il male umano è testato ed esteso a
limiti inimmaginabili». Travolto e contaminato dal «male umano» sarà
anche Tareq, il protagonista. Come tutti i suoi coetanei, una
generazione cresciuta sognando donne, buon cibo e auto di lusso, da
ragazzino fisserà i cancelli dorati del palazzo sognando di varcarli
finché, un giorno, non solo ci riuscirà, ma diventerà - suo malgrado -
uno dei servitori più fedeli di quell’uomo così influente. Tareq,
giovane violento e affamato di sesso, verrà individuato per portare a
termine un’unica missione: stuprare e torturare i nemici del padrone,
santificato dalla stampa ma spietato nella realtà. Dopo trent’anni,
Tareq si sentirà intrappolato nella sporcizia di quella vita. «Non mi
allontano mai dallo sguardo del Padrone - racconta di sé quand’è ormai
adulto -. Conosce ogni mio minimo movimento. Come un aquilone, volteggio
nel cielo, legato a un filo sottile. Quando lo tira, precipito, mi
abbatto nella polvere, aspettando che mi lanci di nuovo nella direzione
del vento per ricominciare a volare».
Il libro, che insiste sulle
umiliazioni che i personaggi impongono o subiscono, «è stato fortemente
criticato per il suo linguaggio provocatorio - commenta Khal - e c’è chi
ha detto che il suo successo è dovuto proprio al fatto che è
scandaloso, ma io credo che un’opera possa essere giudicata male se ci
si concentra su aspetti parziali senza comprenderla nella sua
interezza».
Dalle pagine di Le scintille dell’inferno emerge la
critica della ricchezza senza limiti e delle disuguaglianze che crea in
una società, come quella saudita, caratterizzata dall’enorme potere
politico ed economico concentrato nelle mani di pochi. «Il mio romanzo è
un alterco tra due mondi, quello della ricchezza decadente e quello
della povertà più amara - sottolinea l’autore - descrive questi mondi in
grande dettaglio. Sta al lettore giudicarne gli aspetti scandalosi o la
bellezza letteraria». L’autore affronta con consapevolezza i temi più
scomodi per la società in cui vive (e non solo). «Credo che ogni romanzo
debba alludere al “triangolo dei tabù arabi”, composto da religione,
politica e sessualità - spiega - e io descrivo i cambiamenti sociali di
Gedda senza nascondere questi tabù».
La vittoria dell’Arabic
Booker Prize ha dato un’eco maggiore al romanzo. «L’assegnazione di
questo premio, il più importante per uno scrittore arabo e dalla regione
del Golfo, può contribuire a rompere il monopolio di quello che è
conosciuto come il “centro” della cultura araba. La creatività non ha
nulla a che fare con la divisione geografica e non esistono un centro e
una periferia della letteratura araba». Soprattutto, prosegue, perché
«la regione del Golfo è sull’orlo di una nuova era e sta diventando un
epicentro importante della globalizzazione. Un ulteriore motivo per
prestare maggiore attenzione alle realizzazioni dell’uomo in
quest’area».
Le scintille dell’inferno posiziona la lente
d’ingrandimento su quell’area, raccontando una società in cui «si
applicano due pesi e due misure» e chiedendo «maggiori ambiti di
libertà» sottolinea Khal. Quella libertà che cerca disperatamente Tareq,
che già dalle prime pagine si sente come «un pesciolino appeso all’amo
di un pescatore, o trascinato nella rete della sua barca». Un pesciolino
che, da quando è stato preso in quella rete, non pensa «che a questo:
che [la barca] rallenti, che si fermi. Per riuscire a trovare un modo di
passare attraverso le maglie».