Corriere 16.5.16
Troppi rischi: niente soldati in Libia
di Fiorenza Sarzanini
Il
contingente militare che dovrà garantire la sicurezza della sede Onu in
Libia arriverà dal Nepal. In attesa che la situazione si stabilizzi,
l’Italia non prevede l’invio di soldati. La conferma è arrivata in
queste ore, alla vigilia del vertice di Vienna che dovrà studiare un
percorso di sostegno al governo guidato da Fayez Serraj. Troppo alti
sono i rischi, troppo forte il pericolo che i reparti stranieri
diventino bersagli di attacchi. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi
decide dunque di tenere la linea che aveva già anticipato nelle scorse
settimane spiegando che «di fronte alle pressioni per andare in Libia
abbiamo scelto una strada diversa». L’impegno del nostro Paese segue il
percorso della diplomazia, non a caso la Farnesina ribadisce in una nota
che «obiettivo prioritario rimangono l’unità e la stabilizzazione della
Libia» e di questo discuteranno in Austria dalle delegazioni guidate
dal segretario di Stato Usa John Kerry e dal ministro degli Esteri Paolo
Gentiloni.
I report dal campo
In vista del decreto di
finanziamento delle missioni all’estero che dovrà essere approvato
questa settimana, si sono intensificate le consultazioni tra il
presidente del Consiglio Matteo Renzi e i ministri competenti. Sono
stati analizzati i report dei comandi delle forze armate e dell’
intelligence proprio per avere un aggiornamento sulla situazione libica
che tenesse conto degli equilibri politici dopo l’insediamento del nuovo
governo e soprattutto della possibile minaccia fondamentalista nei
confronti dei reparti militari stranieri.
Le informative
confermano una instabilità ancora molto evidente, ribadiscono l’alta
probabilità che soldati provenienti da Europa e Stati Uniti potrebbero
essere vissuti come veri e propri invasori, quindi esposti a ritorsioni,
pur muovendosi in una cornice voluta dall’Onu. E dunque il governo
decide di non rischiare. Rimane la possibilità, prevista da un
provvedimento firmato dallo stesso Renzi, di utilizzare nuclei speciali
per missioni segrete. Ma per quanto riguarda gli altri compiti di
vigilanza e addestramento la scelta è quella di prendere tempo.
Il ruolo del Colle
Era
stato proprio l’inviato delle Nazioni Unite, il tedesco Martin Kobler, a
sollecitare l’impiego di truppe per la sorveglianza della nuova sede
che sarà spostata da Tunisi a Tripoli. Una mossa concordata con Serraj
che doveva rappresentare il primo passo per un ingresso degli stranieri
nel Paese in maniera graduale e «poco visibile», come del resto era
stato chiesto dal nuovo premier libico proprio nel timore che ciò
potesse aizzare ulteriormente gli oppositori interni. I primi a
rispondere sono stati i Nepalesi e a questo punto saranno loro i primi
ad arrivare in Libia.
La possibilità che anche l’Italia fosse
subito in prima linea è stata riesaminata dallo stesso Renzi con il capo
dello Stato Sergio Mattarella. Come ha più volte detto pubblicamente,
il premier non è mai stato un sostenitore di interventi militari senza
una cornice di sicurezza effettiva. Lo stesso presidente della
Repubblica ha sempre sottolineato la necessità di muoversi soltanto di
fronte a una richiesta esplicita del governo libico. E alla fine si è
concordata una linea di prudenza.
L’Italia continuerà a sostenere
il governo Serraj e in questa fase si concentrerà in modo particolare
sull’impegno umanitario. L’obiettivo rimane quello di ottenere il
comando del contingente internazionale, ma ciò potrà avvenire — in
accordo con gli altri Paesi alleati nella coalizione — soltanto quando
si sarà stabilizzata la situazione. Anche tenendo conto che i
contingenti italiani sono già impegnati su vari altri fronti.
L’Isis in Iraq
Si
sta potenziando la presenza in Iraq a sostegno dei Paesi impegnati nei
raid contro le postazioni dell’Isis. «Abbiamo cercato di concentrare i
militari nelle aree che riteniamo più inerenti alla nostra sicurezza»,
conferma la titolare della Difesa Roberta Pinotti in un’intervista a
Sky.
Sono 800 i soldati di stanza tra Erbil, Bagdad e Kuwait City.
A loro si aggiungeranno presto altri 130 uomini del personal recovery e
i 450 addetti alla protezione dei lavori della diga di Mosul. Per
quanto riguarda gli equipaggiamenti, a Erbil è arrivato un elicottero
che si aggiunge ai quattro già presenti e ai Mangusta. Si tratta di un
velivolo che avrà come missione il recupero dei soldati dispersi oltre
le linee nemiche.