La Stampa 7.5.16
“È un paladino della tolleranza e dei diritti. Sadiq ha vinto perché parla a tutti”
Lo scrittore Mohsin Hamid: dice cose concrete, per questo piace
intervista di Francesca Paci
Dopo
aver narrato il cortocircuito tra Islam e Occidente con il bestseller
«Il fondamentalista riluttante», lo scrittore anglo-pachistano Mohsin
Hamid vorrebbe narrare oggi il suo opposto, l’integrazione compiuta di
uno come il connazionale Sadiq Khan, neo rivoluzionario sindaco di
Londra.
Si sente orgoglioso di Khan?
«Sì ma non perché
pachistano o musulmano: sono fiero in quanto londinese, una città che
parla a tutti ha bisogno di un sindaco che parli a tutti».
La Gran Bretagna in odore di Brexit pare muoversi in senso opposto. Come lo spiega?
«A
Londra c’è il maggior numero di musulmani e di migranti del Regno Unito
ed è allo stesso tempo il luogo in cui si registrano più integrazione e
tolleranza. La paura è inversamente proporzionale alla convivenza».
Cosa c’è di vincente in Khan?
«I
londinesi sono stanchi del costo della vita, l’affitto, la metro, le
mille spese vive lievitate con i conservatori. Khan ha sollevato questi
temi rendendo il suo programma più appetibile. Inoltre, cosa non
irrilevante a Londra, è un paladino della tolleranza che si è schierato
contro l’antisemitismo nel suo stesso partito, ha difeso i gay e le
minoranze».
La campagna avversaria non ha risparmiato la sua fede. Perché i londinesi hanno scelto lui?
«La
gente ragiona con stereotipi. Un mio amico a Lahore è stato ucciso
perché difendeva i cristiani dall’accusa di blasfemia. Khan condanna
l’antisemitismo e non è il solo musulmano a farlo. L’Europa, di suo, non
ha carenza di antisemitismo e in più ha un gran numero di musulmani
antisemiti ma ci sono anche i Khan. La sua elezione, come quella di
Obama, dovrebbe ricordarci che l’antidoto alla tribalizzazione voluta
dalle destre è l’alleanza dei Khan di ogni fede e cultura».
Cosa ci dice il successo di Khan sul referendum? Brexit sì o no?
«Gli
inglesi, come tutti sono spaventati: gli hanno spiegato che
rinchiudersi nelle tribù li proteggerà. Non credo che il nodo del Brexit
sia tanto l’Europa quanto la visione dell’Europa, un sogno svanito
anche nell’immaginario degli europei. Ma il progetto Europa non è meno
valido solo perché non sta funzionando, anzi: i problemi del futuro sono
globali. Khan ci ricorda cosa vuol dire essere culturalmente europei».
Perché l’Europa e il Regno Unito hanno paura dei migranti?
«Quando
ero piccolo arrivarono a Lahore 3,5 milioni di profughi afghani e non
fu una tragedia. Gli europei non hanno paura degli altri ma di cambiare.
Stiamo facendo politiche per gente di mezza età, viviamo nella
nostalgia del passato, fingiamo d’ignorare che i profughi aumenteranno
coi cambiamenti climatici, Bangladesh, Indonesia: come faremo?».
Il sindaco Khan seppellisce il fantasma del «Londonistan»?
«Londra
ha integrato meglio di Parigi, Bruxelles, Rotterdam. Il resto del Paese
è diverso, nella Birmingham post industriale ci sono i problemi
d’integrazione dell’Europa continentale. Ma a Londra, metropoli di
servizi e finanza, vedi il mondo alla guida dei taxi così come in banca o
in tv. Il «Londonistan» era reale e quelle sacche di radicalizzazione
resistono, ma accanto al problema Londra ha la soluzione. Il trionfo di
Khan è l’antidoto alla segregazione sognata dai terroristi».
Onestamente, quanti Khan vede nelle periferie europee?
«Tanti.
La maggioranza? No, ma più del numero conta la forza del loro
messaggio. Magari sono il 30% ma possiamo amplificarne la forza: se Khan
governa bene dopo Londra potrebbe essere Rotterdam».