venerdì 6 maggio 2016

La Stampa 6.5.16
Soru, condannato per evasione l’uomo che volle tassare i ricchi
Tre anni per non aver dichiarato 2,6 milioni: “Ingiusto, ricorrerò” Si dimette da segretario Pd sardo, ma resta europarlamentare
di Jacopo Iacoboni

Per un’amara ironia della storia, l’uomo che osò mettere una tassa sui megayacht ancorati a Porto Cervo e Porto Rotondo è infine condannato a tre anni per evasione fiscale - 2,6 milioni nell’ambito di un prestito dalla società Andalas (sempre di sua proprietà) a Tiscali. È il primo grado e bisognerà vedere come andrà negli altri due, gli avvocati già annunciano «faremo appello, è una condanna singolare, gli stessi uffici finanziari avevano interpretato in modo diverso, ritenendoli insussistenti, i fatti per cui è condannato»; ma certo fa effetto vedere Renato Soru condannato. Perché Soru, per chi abbia seguito le vicende politiche di questi anni, non è uno dei tanti amministratori del Pd con guai giudiziari, Soru è stato molto altro.
Innanzitutto un self made man, un imprenditore che aveva creato nel ’97 un impero legato a Internet, il primo a capire le potenzialità del mercato dei provider in Italia quando fondò un’azienda, Tiscali, che in un paio di anni arrivò ad avere una dimensione tale da esser quotata in borsa. Era partito da Sanluri, nell’entroterra medio campidano, e s’era laureato in Bocconi. Ma ha sempre voluto tornare in Sardegna, «non posso vivere senza questa terra e questa gente, come il mio maestro, l’archeologo delle civiltà nuragiche Linniu», raccontò una sera durante un’intervista fatta in traghetto da La Maddalena. «Sono come loro, testardo, orgoglioso, molto introverso». Quando parla Soru trasmette quella sensazione che capita solo ad alcuni benedetti o maledetti, l’impressione che sia molto intelligente. Vero o meno che sia, è questa l’opinione che s’era diffusa a un certo punto di lui, quando sembrò addirittura che fosse un papabile per la leadership nazionale del nuovo partito, il Pd. Era il 2007-2008, Soru finì semplicemente per acquistare L’Unità (su suggerimento di Walter Veltroni), in quella che è stata l’ultima stagione vitale, anche se finita male, del giornale: scioglimento della società editrice e le cause pendenti rimaste sul capo solo della direttrice, Concita De Gregorio, e dei giornalisti. Invece il «Bill Gates italiano» (come si spinse a scrivere Le Monde, che vaticinava un futuro politico a brevissimo, «l’anti-Berlusconi è la dimostrazione che in Italia si può essere ricchi senza dover portare la bandana o possedere yacht») progressivamente perse il momentum, e tornò alla Sardegna: da cui forse nella sua testa non si è mai schiodato.
Da governatore iperlegalitario fece un’altra grande battaglia, oltre la «tassa sui ricchi»: il divieto di costruire entro dodici miglia dalla costa, provvedimento in totale controtendenza rispetto alla Sardegna briatorizzata che andava di moda in quegli anni (era pur sempre la Sardegna delle estati bollenti di Silvio Berlusconi). Fu odiatissimo, per questo. Continuò per la sua strada, fino a tornare politico con la segreteria del Pd sardo, e a giocare un ruolo nell’ascesa del giovane Zedda, a Cagliari.
Beppe Grillo ieri ha subito chiesto le dimissioni, «cosa aspettano a dimettersi? L’epopea immorale del Pd continua. Chi sarà il prossimo?». Soru si è dimesso dalla segreteria del Pd (non da eurodeputato, carica che è nella disponibilità dell’assemblea). «Non mi aspettavo questa sentenza, mi aspettavo di essere assolto, credo sia una sentenza ingiusta. È un momento grave della mia vita, andrò a casa, voglio stare un poco da solo. Non credo di aver commesso reati, credo e spero che la sentenza venga ribaltata nelle altre fasi del processo».