La Stampa 4.5.16
“Podemos può fare il sorpasso sui socialisti
L’Italia? Il M5S s’è involuto, da lì nulla di utile”
Spagna
alle urne il 26 giugno. Joan Subirats, fondatore con la sindaca Ada
Colau di Barcelona en Comù: il Psoe non si alleerà mai con Iglesias
intervista Jacopo Iacoboni
«La
mia previsione? Alle elezioni del 26 giugno è possibile il sorpasso.
Podemos, se conduce un’alleanza saggia con Izquierda, può superare il
partito socialista per voti e diventare seconda forza. Anche se io non
vedo un governo di sinistra, soprattutto la vecchia guardia di Felipe
Gonzàlez sa che Podemos ha una vocazione maggioritaria, vuole svuotare
il Psoe, e quindi non farà mai un’alleanza. Ci sarà una legislatura
breve, due anni, per cambiare la costituzione, con un patto
popolari-socialisti-Ciudadanos». Quando nacque «Barcelona en Comù», la
più vincente esperienza di politica partecipativa dal basso degli ultimi
anni in Europa - che ha portato la sua leader, Ada Colau, a governare
Barcellona - Joan Subirats era uno dei due fondatori. «All’inizio
eravamo in venticinque». Colau la leader politica, lui l’ideologo.
Alzi
la mano un politologo italiano che possa dire di aver fondato (o anche
solo indovinato, per la verità) un fenomeno politico vincente. Joan
sorride. È a Torino invitato da «Torino in Comune», la lista di Giorgio
Airaudo, a discutere di nuovo municipalismo e possibili link europei.
Il sorpasso al Psoe, anche come seggi, pensa?
«Sui
seggi sarà da vedere in base alla legge elettorale spagnola. Con un
milione di voti Izquierda aveva preso appena due deputati - mentre
Podemos con cinque milioni di voti prese sessanta deputati. Delle 50
province spagnole, solo le più popolate hanno un andamento realmente
proporzionale, per il resto la dinamica è fortemente maggioritaria».
Com’è possibile che con una performance di governo così opaca i popolari restino primi?
«I
ceti medi spagnoli sono preoccupati. L’immigrazione è forte, al 14 per
cento. E il Pp è qualcosa che va dall’estrema destra fin quasi alla
socialdemocrazia. Se prendi Sarkozy e lo metti insieme alla Le Pen,
avrai i popolari spagnoli. Hanno avuto la capacità di essere il partito
del potere. Anche se l’Ibex35, le 35 aziende più grandi della Spagna
quotate in Borsa, sono preoccupate perché pensano che i popolari non
siano in grado di tenere l’ordine. Di qui un certo sostegno a
Ciudadanos».
Ciudadanos toglierà voti a Podemos?
«Direi di
no. Non nella sostanza politica. Hanno dei linguaggi in comune, uso dei
social, viralità. Per il resto sono diversissimi».
C’è, molto forte, una questione generazionale spagnola?
«È
impressionante: sopra i 59 anni la stragrande maggioranza vota Pp,
nella fascia oltre i 54 sono gli elettori socialisti, sotto i 49 quelli
di Ciudadanos, sotto i 45 Podemos».
Lei ha citato l’Italia, la
primavera di Milano, come uno degli spunti fondativi per voi di
Barcelona en Comù. Ora l’esperienza Pisapia è finita, e neanche bene;
esiste il Movimento cinque stelle. Che ne pensa?
«All’inizio li
guardavamo con simpatia, anche se con prudenza, da lontano. Uno dei loro
dirigenti, Di Battista, aveva avuto contatti con gli indignados del
15M. S’era diffusa questa idea che il M5s fosse stato capace di cambiare
le basi della politica, soprattutto nell’uso della rete, in un
empowerment della cittadinanza. Abbiamo visto che invece sono una forza
top-down, guidata dall’alto, oltretutto da un’azienda. E hanno
contraddizioni ideologiche interne enormi, per esempio sull’immigrazione
sono quasi leghisti. Non credo ne uscirà qualcosa di utile per
l’Italia, o per noi».
Il rapporto tra voi di Barcellona e quelli di Madrid, Iglesias in testa, è buono?
«Iglesias,
a differenza di Ada, è un prodotto da laboratorio, riempie dall’alto un
vuoto politico. Lo fa in modo intelligente, e si è molto coordinato con
noi. Io credo che il futuro sia bottom-link, creare link orizzontali
dal basso. Le città saranno la chiave della politica futura: lavoriamo
per una diplomazia delle città; ha ragione Benjamin Barber, i sindaci
dovrebbero governare il mondo».