mercoledì 4 maggio 2016

Corriere 4.5.16
E l’Egitto cercò di spiare il pc di Regeni
Svelata una mail del ministero dell’Interno del Cairo: ordinava «riservatezza sul caso»
di Giovanni Bianconi

Un mese dopo la morte di Giulio Regeni qualcuno ha utilizzato la sua password per entrare nel profilo Google del giovane ricercatore assassinato al Cairo. Un tentativo fatto quasi certamente dall’Egitto, attraverso un iPad , ma non si sa da chi, né perché. Il Cairo ha sempre negato di aver forzato i suoi account. Svelata inoltre una mail del ministero dell’Interno egiziano che ordinava «riservatezza» su Regeni.
ROMA Giulio Regeni era morto da un mese, quando qualcuno utilizzò la sua password per entrare nel profilo Google del giovane ricercatore assassinato al Cairo alla fine del gennaio scorso. Un tentativo fatto quasi certamente dall’Egitto, attraverso un iPad, ma non si sa da chi, né perché. Sicuramente qualcuno venuto a conoscenza della «parola chiave» necessaria a collegarsi a Internet con le credenziali di Giulio, in modo da controllare la sua posta elettronica e forse altri documenti, o operazioni fatte da Regeni prima di essere sequestrato. Particolare che lascia spazio a due possibilità: o la password è stata estratta dal telefonino del ricercatore (sparito con lui e mai ritrovato) dove poteva essere stata memorizzata, oppure è una delle informazioni estorte con le torture inflittegli prima che lo uccidessero. In ogni caso, chi ha effettuato l’accesso deve aver avuto un contatto con Regeni, oltre che un buon motivo per tentare un’intrusione quando il caso era già esploso a livello internazionale.
Il nuovo mistero s’è materializzato davanti agli specialisti della polizia e del Ros dei carabinieri che hanno aperto il computer di Giulio — uno dei pochi elementi in loro possesso — alla caccia di qualche spunto d’indagine. Uno di questi è l’ account di Google, in modo da verificare non solo le ricerche, ma ogni tipo di operazione svolta attraverso quel motore. La speranza è che Regeni avesse attivato per qualche motivo anche la funzione Google Maps , in modo da individuare i suoi ultimi spostamenti. Ma si tratta di una possibilità molto remota.
Nello svolgimento di queste procedure è saltato fuori il colpo di scena: un collegamento risalente a fine febbraio, attraverso uno strumento portatile, con ogni probabilità un tablet che s’è agganciato attraverso un provider apparentemente egiziano.
Per compiere il passo successivo, poliziotti e carabinieri si sono rivolti a Google nella speranza di saperne di più su chi può aver compiuto l’operazione, e soprattutto sull’eventuale localizzazione dell’intruso (oltre alle ipotetiche notizie da Google Maps ). Se i segreti tecnologici cadranno, si potrà poi chiedere all’Egitto ulteriori accertamenti su chi si nasconde dietro a numeri e codici. Con un punto di partenza: durante lo scambio delle (poche) informazioni avvenuto finora, gli investigatori del Cairo hanno sostenuto di non essere entrati nell’ account di Regeni. Di qui l’incognita sugli autori dell’accesso, ma anche l’esigenza di verificare se non si sia trattato di un accertamento «pirata», con percorsi diversi per non lasciare tracce ufficiali.
Dunque l’indagine italiana prosegue come può, con il nuovo enigma che si aggiunge a quelli elencati ai magistrati egiziani nell’incontro romano che si risolse con un nulla di fatto, a cui seguì una maxi-rogatoria del procuratore Giuseppe Pignatone e del sostituto Sergio Colaiocco, in attesa di risposta. Nel frattempo dal Cairo continuano ad arrivare informazioni da cui si comprende come il «caso Regeni» continui a preoccupare le autorità locali, e a creare qualche frizione tra ministeri. Quello dell’Interno, guidato dal generale Magdy Abdl Ghaffar, avrebbe predisposto addirittura un «piano segreto» (inviato per errore a qualche mezzo di comunicazione) con le indicazioni per affrontare la crisi provocata dall’arresto di due giornalisti nella sede del sindacato cella stampa; il «piano» conterrebbe anche la disposizione di censurare le notizie sulla morte del ricercatore italiano.