La Stampa 4.5.16
«Perché non siamo soli nell’Universo»
di Gabriele Beccaria
Siamo
soli nell’Universo o c’è «qualcuno» a condividere con noi l’emozione
del pensiero? La domanda - che sa di inconcludente tormentone - adesso
assume un nuovo significato. Il merito è di Adam Frank, fisico e
astronomo della University of Rochester, e Woodruff Sullivan,
astrobiologo della University of Washington.
Hanno pubblicato un
articolo su «Astrobiology» in cui riscrivono la celebre equazione di
Drake, che nel 1961 provava a stimare il numero di civiltà
extraterrestri in grado di comunicare. I parametri di mezzo secolo fa
sono stati rivisti alla luce delle scoperte di esopianeti, esterni
rispetto al nostro Sistema Solare.Hanno superato i 2 mila grazie alle
osservazioni del telescopio «Kepler» e le «new entry» sono una lista in
continuo aggiornamento. Ma la conclusione è eccitante e deludente. Nella
Via Lattea ci dev’essere stata almeno una «tribù» aliena e
nell’Universo le probabilità sono altissime: quasi 10 miliardi di
«apparizioni» dal Big Bang in poi. Purtroppo sulla durata di queste
realtà è difficile fare previsioni e il nostro caso non è rassicurante:
abbiamo iniziato a organizzarci solo da 10 mila anni e sembriamo già sul
punto di far collassare il Pianeta. E, allora, i tempi sfasati e la
lontananza potrebbero condannarci a un’irrimediabile solitudine.