La Stampa 4.5.16
La nuova filosofia realista riscopre la metafisica
David Armstrong e David K. Lewis ripropongono una versione moderna della “scienza degli universali” recuperando Aristotele
di Franca D’Agostini
Che
cos’è la metafisica? Martin Heidegger riteneva che la questione fosse
molto complessa, e il suo Was Ist Metaphysik? (1929) è un testo
piuttosto complicato, con il celebre sbocco nel «nulla che, esso stesso,
annienta (nichtet)». Altri avevano però opinioni diverse. Per esempio,
Gustavo Bontadini, come ricorda il suo allievo Giuseppe Barzaghi,
pensava che un onesto trattato di metafisica potesse e dovesse essere
brevissimo, non più di dieci pagine.
Il mondo in breve
La
metafisica contemporanea, materia estremamente raffinata e
specializzata, sembrerebbe confermare la complicazione più che la
semplicità. Ma forse non è esattamente così. Forse l’intuizione di
Bontadini ha ancora buone ragioni di credibilità. Se non altro, perché
un’idea che la filosofia tradizionale condivide con la più avanzata
filosofia analitica contemporanea è l’idea che la metafisica è lo studio
della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. E se così è, un
simile studio dovrebbe essere semplice, come semplice è il fatto dello
stare qui, ora, nel mondo: l’essere deve potersi dire in breve, e senza
«annientamenti» o «oltrepassamenti».
La sfida di una «metafisica
in breve» è accolta e, io credo, vinta, dall’ultimo libro di David M.
Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, ora tradotto con il
titolo Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico (Carocci), in
uscita il 5 maggio. Scomparso nel 2014, a 88 anni, Armstrong è stato il
più illustre esponente del realismo australiano, e uno dei grandi
metafisici del Novecento. In un centinaio di pagine, con la chiarezza e
l’illuminante semplicità che gli erano caratteristiche, Armstrong ci
introduce nel linguaggio e nei problemi della metafisica contemporanea,
presentando anzitutto la sua posizione, ma in costante confronto con le
posizioni altrui.
Stati di cose, proprietà, leggi di natura,
possibilità e necessità, causalità e verità, fatti totali e fatti
negativi, tempo, classi, mente: nel breve testo vengono affrontati tutti
i problemi della discussione filosofica di oggi intorno alle strutture
fondamentali della realtà. Così il libro non è soltanto la presentazione
delle idee metafisiche dell’autore, ma anche un rapido ed esaustivo
percorso nelle riflessioni dei filosofi contemporanei su ciò che è
reale, ciò che non lo è, ciò che potrebbe esserlo, e ciò che non
potrebbe in alcun modo esserlo.
Ha scritto Ted Sider, in Writing
the Book of the World (2011) che la metafisica analitica contemporanea è
stata fatta da «due David»: David Armstrong, e David K. Lewis. I due
autori certamente hanno lanciato ipotesi metafisiche ardite e ingegnose.
Realtà parallele
Armstrong
ha rilanciato il realismo aristotelico sugli universali, una teoria
decisamente fuori moda (e già parecchio discussa nel medioevo),
mostrando che, inaspettatamente, sembra essere molto più sensata della
teoria secondo cui tutto ciò che esiste è particolare. Lewis è
soprattutto noto come teorico del «realismo modale», ossia l’idea che i
mondi possibili esistono, ci sono, esattamente come esiste e c’è il
nostro mondo: per esempio da qualche parte c’è il mondo in cui JF
Kennedy non è stato ucciso, ma è vissuto a lungo serenamente; c’è un
mondo in cui Prince è ancora vivo, e magari non fa la rock star, ma
l’impiegato di banca o il cameriere in un fast food. Quel che è
interessante e sorprendente dei due autori è che entrambi sono stati
naturalisti radicali, cioè per loro la realtà è fisica, materiale:
dunque gli universali per Armstrong appartengono al mondo dello
spazio-tempo, e i mondi possibili per Lewis sono sistemi
spazio-temporali distinti dal nostro mondo, ma concreti e reali
esattamente come lo è il mondo attuale.
Il respiro del pensiero
Simili
posizioni possono sembrare bizzarre. Vere e proprie avventure
speculative. Ma ad Armstrong e a Lewis si deve anche un rinnovamento
profondo dello stile filosofico, una novità che interessa non soltanto
le scelte teoriche, ma il modo stesso di praticare e concepire la
filosofia. È ancora presto per valutare ciò che la metafisica dei «due
David» ha dato effettivamente allo sviluppo della metodologia filosofica
contemporanea. Ma c’è almeno una idea che entrambi condivisero, e
misero in pratica nei loro scritti: l’idea che la filosofia non è il
luogo delle impossibilità, della «fine» di questo di quello, e neppure
del «nuovo» a ogni costo: convinzioni, queste, che bloccano la ragione e
la rendono sommamente irragionevole.
Invece, in entrambi gli
autori la filosofia per così dire «respira», diventa ricerca libera e
avventurosa; non abbandona il suo antico linguaggio, la tradizione, e la
semplicità, ma riesce, come diceva Paul Valéry, a «far cantare le
idee».