La Stampa 3.5.16
Nella Spagna senza governo è incubo deficit
La Ue minaccia maxi sanzioni. Sale la disoccupazione
Oggi lo scioglimento delle Camere, il voto il 26 giugno
di Francesco Olivo
Niente
da fare: la Spagna un governo non l’ha trovato. Ormai ci si è arresi,
il tempo è scaduto, stamattina verranno sciolte le Camere, il 26 giugno
si tornerà a votare, una sorta di secondo turno dilatato delle elezioni
di dicembre. Di fatto la campagna elettorale dura da un anno (a maggio
scorso ci fu uno storico voto regionale), un lusso per un Paese uscito
solo parzialmente dalla crisi economica. E ieri sono arrivati brutti
segnali da Bruxelles: i conti sono sballati e potrebbe arrivare una maxi
multa.
In questi mesi di negoziati fallimentari, la consolazione
veniva dall’economia in ripresa, meglio di altri vicini europei, Italia
per esempio. Giovedì scorso, però, è arrivato il primo dato in
controtendenza: il tasso di disoccupazione è tornato a salire, tornando
al 21% nei primi tre mesi del 2016, con 64 mila posti di lavoro persi.
Non è una caduta clamorosa, solo 0,1 in termini percentuali, tanto più
che nel 2013 si viaggiava intorno al 27%, ma è il primo segno meno dopo
quattro trimestri consecutivi. Inoltre, la riforma del mercato del
lavoro del governo Rajoy ha pregi e difetti, tra questi ultimi la
precarietà assoluta: la maggioranza dei nuovi contratti è a termine. A
Barcellona, per fare un esempio, il 40% dei neo assunti firma solo per
un mese.
In tempi normali un governo avrebbe preso in mano la
situazione, ma a Madrid un esecutivo manca da dicembre, se non per il
disbrigo degli affari correnti, e questa situazione continuerà per lo
meno per altri cinque mesi, visto che il nuovo parlamento si formerà a
fine luglio. Così, il dibattito economico risente inevitabilmente della
campagna elettorale, con il Partito Popolare di Rajoy che sottolinea la
crescita costante e tutti gli altri che denunciano una condizione
drammatica, specie nelle regioni meridionali del Paese.
Altro
elemento di preoccupazione è il debito pubblico, salito a livelli quasi
italiani e molto poco europei (nel senso dei parametri di Bruxelles),
oltre il 100% del Pil, con un picco negli ultimi mesi. Le previsioni di
spesa sono state riviste al rialzo, con grandi mal di pancia della
Commissione Ue che si prepara a una multa salata, due miliardi, allo
Stato spagnolo, una misura che potrebbe essere congelata, ma che peserà
nella campagna elettorale e nel governo che (si spera) verrà.
L’instabilità
politica inizia a pesare sui conti: «La Spagna non è nelle condizioni
di poter votare ogni sei mesi - spiega l’economista, José María Gay de
Liébana -. L’aumento della spesa del 2015 è la ovvia conseguenza della
situazione politica. Ora i partiti dovranno di nuovo fare promesse
elettorali, con un costo notevole per le casse dello Stato».
«Un
governo nel pieno dei suoi poteri servirebbe eccome - spiega Santiago
Carbó Valverde, economista spagnolo della Bangor University - non tanto
per fare riforme profonde, quanto per migliorare alcuni aspetti delle
politiche del lavoro, come la formazione». Se da un punto di vista
politico gli spiragli sono pochi, i sondaggi prevedono che la
frammentazione continuerà anche nella prossima legislatura, l’economia
regala qualche speranza: l’estate porterà ossigeno a un settore chiave
come il turismo, che, anche grazie alle disgraziate vicende di altre
mete di vacanze, farà registrare numeri record. Senza un governo, ma con
tanto sole.