La Stampa 3.5.16
Il governo alla sfida più difficile
di Giovanni Sabbatucci
Aprire
una campagna elettorale con quasi sei mesi di anticipo sulla data della
consultazione è impresa inconsueta e non priva di rischi. In gergo
ciclistico, è come lanciare una volata a molti chilometri dal traguardo.
Evidentemente, Matteo Renzi, anticipando la mobilitazione dei comitati
per il sì al referendum costituzionale da lui promosso, ha voluto
enfatizzare ulteriormente il senso politico di una prova elettorale al
cui esito ha legato le sue fortune di leader e la sua stessa permanenza
al governo. Non solo, dunque, una tappa per quanto importante
nell’attuazione del suo programma, ma l’inizio di una nuova fase nella
storia del paese: quella in cui i governi durano una legislatura, le
riforme non restano sulla carta, le risorse si indirizzano dove sono più
necessarie. Inoltre, con l’annuncio dato ieri di forti investimenti in
ricerca e cultura e di nuovi stanziamenti per il Mezzogiorno, il
presidente del Consiglio intende dare sostanza a queste promesse – una
sorta di New Deal di mezzo termine – su un terreno in cui attaccarlo
sarà più difficile per i suoi critici.
Questi i vantaggi
auspicati. Ma i rischi da affrontare non sono da poco. E riguardano non
tanto l’esito del voto referendario, quanto le difficoltà del percorso
da coprire e i loro possibili effetti sulle dimensioni di una vittoria
che i più danno per scontata. Il primo ostacolo riguarda le
amministrative di giugno: scadenza importante di per sé (parliamo delle
quattro maggiori città italiane), che in quanto tale non andrebbe
sottovalutata. Concentrando il fuoco sul referendum di ottobre, Renzi
non rende un buon servizio ai suoi candidati-sindaco e fa crescere per
il Pd le incognite di una competizione già incerta; mentre, al
contrario, un risultato almeno in parte positivo nelle città avrebbe sul
partito un effetto tonico in vista della battaglia principale.
I
fattori decisivi che possono complicare la lunga volata del presidente
del Consiglio sono però altri, e rinviano al quadro generale, italiano e
non solo. Se l’economia reale dà qualche segno di ripresa, i numeri
della finanza pubblica sono sempre preoccupanti. Il debito non smette di
crescere e i partner dell’Unione europea non sembrano disposti a farci
sconti. Anzi minacciano di lasciarci soli sulla questione dei migranti.
Poi c’è l’imbroglio libico, che potrebbe costringere il governo, sinora
assai prudente in materia, a una qualche forma di intervento diretto,
con gli inevitabili strascichi polemici. Nessuno sa come potrà evolvere
la situazione sui vari scacchieri da qui a ottobre. Ma è certo che,
allungandosi il tempo della campagna elettorale, cresce per il governo
la possibilità di complicazioni.
Paradossalmente, un fattore che
potrebbe favorire la campagna renziana sta nella debolezza, a volte
nella pretestuosità, delle critiche rivolte alla riforma. Da sinistra ci
si erge, quasi per un riflesso automatico, a custodi della Costituzione
violata e si paventano improbabili derive autoritarie. La destra e i
grillini ripropongono svarioni come quello su Renzi abusivo perché non
eletto dal popolo (o sul Parlamento illegittimo perché eletto col
Porcellum). Se la partita si giocasse sul merito delle innovazioni
proposte, il successo dei sì sarebbe probabilmente largo. Ma discutere
sul merito di qualcosa in Italia è sempre più difficile. E la
personalizzazione imposta da Renzi alla campagna referendaria in questo
senso non aiuta.