La Stampa 3.5.16
I sondaggi danno i contrari in testa
Al premier servono 20 milioni di voti
Il tema della “mobilitazione” al centro del primo comizio
di Fabio Martini
Nello
spumeggiante comizio al teatro Niccolini di Firenze, Matteo Renzi ha
pronunciato tre frasi, distanti tra loro, ma collegate da un filo rosso
che corrisponde alla preoccupazione inconfessabile del presidente del
Consiglio: riuscire a motivare e a trascinare alle urne del referendum
di ottobre milioni e milioni di elettori, almeno venti, perché tanti
presumibilmente ne serviranno per vincere una consultazione che Renzi
stesso ha voluto trasformare in un plebiscito sulla sua leadership. Le
tre frasi rivelatrici scandite ieri dal palco del Niccolini sono queste.
La prima: «Io non sarei mai arrivato a Palazzo Chigi se non avessi
avuto una straordinaria esperienza di popolo». La seconda: «Ora c’è una
partita che da solo potrei anche vincere ma non basterebbe». La terza:
«Sono sicuro che vinceremo il referendum sulle riforme costituzionali.
Non ho paura di perdere, ma ciò che è più importante è coinvolgere gli
italiani, ho bisogno di voi, ho bisogno che ci siano 10mila comitati in
tutta Italia».
Spinto dall’adrenalina, dalla sua proverbiale fame
di vincerle tutte, Renzi riscopre il popolo delle Primarie, ammette che
ha «bisogno» della base del suo partito, solitamente oggetto trascurato
nella propaganda e nella prassi renziana, arrivando a sostenere che non
ha paura di perdere e che la cosa più importante è «coinvolgere» gli
italiani. Frasi da comizio, perché è evidente che per Renzi la cosa
migliore sarebbe vincere - e non perdere - il referendum, mentre è
verace l’auspicio del presidente del Consiglio sul coinvolgimento del
maggior numero di elettori possibile. E Renzi sa che non basterà portare
milioni di elettori a votare: la vittoria del “sì”, che nel Palazzo
viene data scontata, non lo è per uno degli istituti più seri in fatti
di sondaggi. Per Euromedia Research, guidata da Alessandria Ghisleri,
per anni sondaggista di fiducia di Silvio Berlusconi, la più recente
rilevazione parla chiaro: i “no” sono in vantaggio sui “sì”, sia pure di
misura: 52 per cento contro 48.
Nell’analisi fatta a palazzo
Chigi dei risultati del referendum sulle trivelle del 17 aprile, si
valuta che non tutti i 15 milioni e mezzo di italiani che sono andati a
votare, lo abbiano fatto perché “anti-renziani”. È vero che il
presidente del Consiglio aveva consigliato di stare a casa, ma parecchi
elettori sono andati alle urne motivati dalla ostilità alla normativa
sottoposta a referendum, come dimostra l’alta partecipazione nelle
regioni adriatiche, le più interessate alla questione. E dunque, neppure
il totale dei sì (13 milioni e 334mila) alla abrogazione alla legge (la
posizione più lontana da quella del governo) sono totalmente
ascrivibili al fronte degli elettori anti-Renzi. Eppure, fatte queste
premesse contabili e logiche, si valuta in 10-12 milioni il numeri degli
elettori che sono andati a votare con l’obiettivo di mandare un
messaggio a Renzi. Con una partecipazione che a ottobre si immagina non
si fermerà al 31,18% e possa superare quota 50, Renzi dovrà motivare
18-20 milioni di elettori per superare i suoi antipatizzanti. Calcoli
non sufficienti, anche perché Renzi sa che non basterà motivare i
“propri” elettori. Gli ultimi, attendibili sondaggi sono allarmanti.
L’unico
istituto che si è occupato in modo sistematico di testare l’opinione
degli elettori sul tema referendum è Euromedia, che ha compiuto il primo
sondaggio il 5 febbraio: anche allora prevalsero i “no”, ma di
strettissima misura: 51 a 49. Il problema, visto da palazzo Chigi, sta
proprio in questo: in tre mesi nulla di sostanziale si è modificato
nella opinione degli italiani interpellati dall’istituto.