martedì 3 maggio 2016

La Stampa 3.5.16
La strategia ora è evitare il plebiscito personale
di Marcello Sorgi

Ci sono un paio di ragioni per cui Renzi ha deciso di aprire con congruo anticipo, ieri, la campagna per il referendum costituzionale di ottobre. La prima, anche se non la principale, è che preferisce di gran lunga questa alla più impervia, per lui e per il centrosinistra, campagna per le comunali di inizio giugno, in cui, a parte Torino e Bologna, la situazione è incerta a Milano, difficile a Roma, data per persa a Napoli e complicata nel resto delle città medio-piccole in cui si vota. Questo non vuol dire che Renzi, prima o poi, non sia portato a partecipare anche alla corsa per i sindaci, ma un conto è inquadrarla nella partita più grossa, su cui premier e governo mettono la faccia, della Grande riforma, e un conto è trovarsi a combattere su due fronti.
Così il motivo vero per cui Renzi ha scelto la sua Firenze per dare il via alla battaglia che, nelle sue aspettative, dovrebbe vedere la nascita di diecimila comitati per il “Si” in tutta Italia, dando forma a un’effettiva partecipazione dal basso alla svolta introdotta con l’approvazione del disegno di legge Boschi, è che la campagna per il “No” è ormai entrata nel vivo, e vede in prima linea, non solo il variegato fronte partitico che va dal Movimento 5 stelle a Berlusconi e Fratelli d’Italia, passando per la Sinistra italiana e forse perfino una parte della minoranza Pd, ma pezzi importanti di società civile, a cominciare dallo schieramento di professori e costituzionalisti decisi a dimostrare che quella che il governo vuole imporre è una “svolta autoritaria”.
Contro queste elites - ci sono almeno due documenti di professori, oltre a un terzo, che invoca, cosa mai avvenuta nelle precedenti esperienze di referendum costituzionali, la suddivisione del quesito referendario in almeno tre parti, in modo da spezzettare gli eventuali consensi e dissensi a parti della riforma, e renderne praticamente impossibile l’approvazione popolare - Renzi vorrebbe costruire un’autentica mobilitazione popolare, disgiunta dalle insegne di partito e affidata soprattutto a giovani che dovrebbero organizzarsi per dare corpo e voce all’Italia del “Si”, contrapposta a quella che resiste alle riforme e vota “No”. Già da questo esordio si può dunque dedurre la novità della campagna, rispetto alla prima uscita di un paio di mesi fa: non più, o non soltanto, un referendum su Renzi, ma sui cambiamenti che il governo, tra mille contrasti, ma finora senza arrendersi, sta cercando di introdurre in Italia.