martedì 3 maggio 2016

La Stampa 3.5.16
L’Ue: sì alle frontiere chiuse ma non quella del Brennero
Via libera alla proroga di sei mesi per la sospensione di Schengen
Chi rifiuta i profughi pagherà ai Paesi d’accoglienza 250 mila euro
di Marco Zatterin

Per la Commissione Ue è tutto normale. Domani approverà una raccomandazione al Consiglio, cioè agli Stati membri, perché consentano a Germania, Austria, Svezia, Danimarca e Norvegia di prorogare di altri sei mesi a partire dal 13 maggio la sospensione di Schengen, dunque il mantenimento dei controlli alle frontiere interne. L’orientamento, spiegano i portavoce, è «legato ad alcune carenze persistenti nella gestione greca dei confini esterni dell’Unione». Una motivazione curiosa, questa, visto che le stesse fonti da tempo sottolineano che la rotta balcanica è chiusa, come l’attraversamento dell’Egeo. Al momento i flussi sono bloccati. Perché allora limitare la libertà di movimento?
È una mossa politica. Gli osservatori convergono nel sottolineare che serve soprattutto a Berlino e Vienna per prendere tempo davanti all’ondata populista. La Commissione spera in sei mesi si possano calmare le acque e facilitare il progetto «back to Schengen», col ritorno alla normalità entro l’anno per viaggiatori e merci. Sarebbe il prezzo per fare ordine prima di Natale, una proroga-ossigeno per le cancellerie di Merkel e Faymann.
Il testo discusso ieri dai capi di gabinetto della Commissione stabilisce quali sono i passaggi dove la vigilanza può essere permanente e quali no. Il Brennero non è nella lista. Il dispositivo riconosce solo le presunte carenze greche e, pertanto, autorizza Vienna a sigillare i confini ungheresi e sloveni. Secondo il team-Juncker, le vie che collegano l’Italia non hanno ragione di essere chiuse. Se dunque gli austriaci volesse usare l’arma di cui si stanno dotando, cioè la barriera a metà strada fra Vipiteno e Innsbruck, dovranno chiedere una ulteriore autorizzazione a Bruxelles. Indirettamente, è un modo per dire che in Alto Adige non c’è emergenza migranti. Conferma la natura «politica» del momento la proposta di riforma del regolamento di Dublino che, pure, arriva domani. Il collegio ha scelto l’opzione morbida, la «Uno più». Resta la responsabilità di accoglienza e registrazione dello Stato di primo approdo dei migranti. Però si introduce una compensazione d’emergenza: posto che ogni Paese ha una sua quota stabilita per Pil, popolazione e altri fattori, quando l’afflusso supera il 150% della capacità scatta la ridistribuzione anche questa sulla base di quote. Vincolante, o quasi.
Chi vorrà, potrà comprare un biglietto di uscita pagando 250 mila euro per ogni rifugiato rifiutato. Il soldi andranno al Paese di accoglienza, il che vuol dire potenzialmente Grecia e Italia. «È una somma alta che serve a disincentivare», spiega una fonte Ue. Quanto? Prendiamo la Lituania e, a titolo indicativo, le quote (abortite) del 2015. Qualora vi fossero 20 mila profughi da suddividere, Vilnius dovrebbe pagare una cinquantina di milioni per non ospitarne circa 200. Alle autorità baltiche probabilmente converrebbe dare il benvenuto ai disperati in fuga dalle guerre.