I ferrovieri trascinano
il Belgio nella rivolta
di Marco Zatterin
Il Belgio è in tumulto. Mercoledì alle ventidue, i ferrovieri della Vallonia sono entrati in sciopero e, da allora, bloccano il Paese: protestano contro l’ipotesi di un taglio dei giorni di riposo compensativo. Ieri mattina nell’area di Bruxelles c’erano oltre 200 chilometri di auto accodate, la distanza fra la Grand Place e il Lussemburgo. Giovedì era andata peggio. Di buon’ora gli ingorghi coprivano 398 chilometri di strade federali. Traffico caotico nella capitale, tram in fila indiana, ritardi clamorosi. Un incubo vero, forse però solo l’antipasto di quanto accadrà martedì, quando scenderanno in piazza i sindacati dei pubblici per dire «no» ai tagli dei servizi decisi dal governo. Il paese è diviso, al solito. Si incrociano le braccia nel sud francofono e meno nelle ricche Fiandre. Ieri si sono fermati anche i secondini, in lotta per difendere lavoro e salario. Siamo all’orlo di una guerra sociale, suggeriscono gli analisti belgi. Ma forse è la classica insoddisfazione da crescita debole. Amplificata dai malumori di un paese che solo a fatica riesce a stare in piedi.