giovedì 26 maggio 2016

La Stampa 26.5.16
Ma la guerra politica che corrode l’America non sposterà voti
Il Paese sempre più radicalizzato è disgustato da entrambi i leader
43,2 punti. La media dei sondaggi vede Clinton in lieve svantaggio. Solo un mese fa aveva 10 punti percentuali in più del tycoon
di Gianni Riotta

«Ai vecchi tempi...» si sente borbottare nella Washington che credeva di contare e conta ogni giorno di meno, «ai vecchi tempi…» i titoli che han percorso ieri il web, e oggi sono in prima pagina, mail proibite di Hillary Clinton e tasse eluse da Donald Trump, avrebbero stroncato una candidatura, umiliato un leader, costretto un aspirante presidente alla ritirata, davanti alla famelica pattuglia di reporter, taccuini e microfoni inastati.
Ora invece? Basterà il rapporto degli ispettori del Dipartimento di Stato, che critica l’ex First Lady per avere usato una mail privata e non quella ufficiale del ministero, e non avere tenuto un registro accurato della corrispondenza, a costringere la Clinton a rinunciare alla corsa alla Casa Bianca? Servirà la reprimenda, estesa ad altri segretari di Stato del recente passato, su tutti il repubblicano Colin Powell, almeno a costringerla alle corde?
Per Donald Trump l’affondo viene dal giornale inglese The Telegraph, con una precisione di tempi che in Italia solleverebbe la sindrome del complotto «ad orologeria», e anche negli Stati Uniti alimenta siti dietrologici. Trump è accusato, con tanto di mail e di fotocopie dei documenti fiscali, di aver stornato 50 milioni di dollari (44 milioni di euro) di un investimento in debito, per eludere i controlli dell’Internal Revenue Service, Irs, il fisco Usa. Dal gangster Al Capone al vicepresidente di Nixon, Spiro Agnew, costretto alle dimissioni nel 1973 per corruzione e frode fiscale, le tasse sono state mannaia micidiale negli Usa: riusciranno a scalpare la chioma (vera? trapiantata? parrucchino? il dibattito tricologico infuria) di Trump?
Ai «vecchi tempi…» che giornalisti, parlamentari, docenti universitari e lobbisti evocano, non senza nostalgie, nei ristoranti bene della capitale e di New York, le rivelazioni di maggio avrebbero avuto conseguenze toste per Clinton e Trump. All’epoca del web e dei talk show, con la narrativa dei Big Data a restituirci una conversazione politica irriducibile, controversa, i riflessi potrebbero essere più modesti, a meno di nuove rivelazioni drammatiche, evasione cronica per Trump, incriminazione diretta dell’Fbi (un’inchiesta è ancora in corso) per Clinton.
Lo staff di Hillary insinua già che alcuni dei funzionari che han redatto il rapporto, «lavoravano per i repubblicani» (vero, altri però sono stati nominati dal presidente democratico Obama) pur di aizzare tifo partigiano. Trump ha ribadito più volte che non intende pubblicare la sua dichiarazione fiscale - rito tradizionale per i leader moderni -, titillando l’orgoglio della sua base, che detesta tasse, Irs e commercialisti.
Sono in corso tre guerre politiche in America, Clinton contro Trump per la Casa Bianca è la dominante, parallela a due rauchi conflitti fratricidi, con i ribelli del socialista Sanders a minacciare rivolta alla Convenzione democratica, mentre repubblicani moderati e intellettuali si ostinano - sempre più flebilmente - a contrastare Trump. Le trincee partigiane dividono i partiti tra loro e all’interno, il clima si fa brutale. Chi medita di votare Trump, non lo abbandonerà perché sconvolto dalla possibile evasione fiscale (un palazzinaro arricchito con i casinò vi suggerisce rigore fiscale?). E ben pochi democratici diserteranno il partito, solo perché Clinton ha usato un server privato, o mandato una mail chiusa da un .com anziché state.gov.
Non è una nobile contesa, non è un’alata campagna elettorale, se mai ve ne sono davvero state in passato. Gli americani, in maggioranza, sono disgustati da entrambi i leader, considerano il sistema marcio, piagato da cinismo, mazzette, lobby rapaci. Se i militanti rivali troveranno nei titoloni ragioni per odiare ancor di più «Hillary» o «Donald», tanti loro concittadini si sentiranno ancor più alienati dal sistema. La rabbia è, ora, troppo radicata per non spegnere, tra gli slogan dissennati, ogni dialogo raziocinante.