Corriere 26.5.16
Italia e Germania nel 1945. Fra epurazione e processi
risponde Sergio Romano
Ho
recentemente visto il film del regista tedesco Lars Kraume «Lo Stato
contro Fritz Bauer», film che affronta la vicenda umana e politico-
giuridica del procuratore generale tedesco di origine ebrea, che portò
avanti una lunga battaglia per la cattura dei criminali nazisti sparsi
per il mondo, riuscendo a favorire l’arresto (per mezzo del Mossad) di
Eichmann responsabile della pianificazione e della deportazione degli
ebrei nei campi di sterminio. Quello che mi ha colpito del film è stato
il clima in cui il procuratore si muoveva e la presenza di
nazionalsocialisti riciclati in tutti i livelli e in tutti i settori
dello Stato. Tra il periodo post fascista italiano e quello post nazista
tedesco ci sono affinità in termini di riabilitazione? Perché tante
persone, nonostante le connivenze con le dittature, non furono né
processate né giudicate?
Andrea Sillioni
Caro Sillioni,
Tra
Italia e Germania, in quegli anni, vi furono analogie e differenze. In
Italia Palmiro Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia nel primo
governo di Alcide De Gasperi, firmò una amnistia che ebbe il merito di
chiudere, almeno sul piano giudiziario, il capitolo delle responsabilità
penali. Il segretario del Partito comunista si rese conto che il Paese
stava uscendo da una guerra civile e che era indispensabile, per il suo
futuro, evitare una possibile ricaduta. Per le responsabilità politiche,
invece, vi fu una commissione dell’epurazione che eliminò dalla
pubblica amministrazione un certo numero di funzionari medio-alti. Ma
quasi tutti tornarono in servizio quando la giustizia amministrativa
accolse i loro ricorsi e fu evidente che le loro competenze erano
necessarie al funzionamento del Paese. La continuità dello Stato sembrò
alla maggioranza degli italiani la migliore garanzia contro qualsiasi
deriva rivoluzionaria o reazionaria. Gli Alleati stettero a guardare e
non sollevarono obiezioni. La maggioranza della pubblica opinione
approvò questa linea.
In Germania, la continuità dello Stato, dopo
la disfatta e il collasso del regime nazista, era un concetto
improponibile. Per quattro anni, quindi, i vincitori furono
contemporaneamente Governo e Giustizia. Ma anche in Germania fu chiaro
che il Paese non avrebbe potuto fare a meno di buona parte del personale
tecnico-amministrativo che aveva lavorato per il Terzo Reich anche nei
gradi più alti della amministrazione. Vi furono polemiche quando si
scoprì che qualche vecchio nazista era diventato consigliere della
cancelleria. E vi fu grande scandalo quando il capo dei servizi di
sicurezza della Repubblica Federale fuggì nella Germania comunista per
protestare, tra l’altro, contro l’impiego di personale nazista
nell’amministrazione. Si chiamava Otto John, aveva partecipato al
complotto contro Hitler del luglio 1944, era riuscito a trovare riparo a
Londra, dove aveva lavorato con i servizi britannici, ed era diventato,
dopo la fine della guerra, capo dell’Ufficio federale per la protezione
della Costituzione, l’eufemismo con cui il nuovo Stato tedesco definì
il suo Intelligence. L’esilio terminò nel 1955, un anno dopo la fuga,
quando John fu deluso dalla sua esperienza comunista e tornò in
Occidente. Ma nella Repubblica Federale fu condannato per alto
tradimento a quattro anni di prigione. Sostenne di essere stato
giudicato da magistrati che avevano servito il Terzo Reich.