La Stampa 25.5.16
Tra gli operai che bloccano le raffinerie
“Non vogliamo fare la fine dell’Italia”
Nel Sud duri scontri con la polizia: voi vi siete fatti fregare
di Niccolò Zancan
Cala
una notte rosa e quasi africana sulla rotonda di Fos-de-Mer. Le
ciminiere delle raffinerie sputano lame di fuoco alte nel cielo. I
poliziotti restano immobili nel buio a separare fisicamente il passato e
il futuro della Francia.
A terra sono rimasti
pneumatici bruciati e sassi. Venti agenti della gendarmerie presidiano
la rotonda per impedire altri blocchi. Il sole incomincia a tramontare
sul mare, sulle raffinerie e su questo pezzo di Francia che lotta.
Che
lotta e non vuole cambiare. «Non credete a questa menzogna del
progresso! Vi siete fatti fregare, voi italiani. Non faremo lo stesso.
Questo legge sulla flessibilità del lavoro è un ritorno al passato,
vogliono togliere di mezzo il sindacato e disporre dei lavoratori a
piacimento. Lo chiamano futuro, ma è una nuova forma di schiavitù».
Roger
Lamur racconta la giornata che ha paralizzato la Francia dalla sua
sedia di segretario generale della Cgt per il distretto di Bouches du
Rhône. Marsiglia è a quaranta chilometri, la Camargue vicinissima. La
televisione trasmette in continuazione la mappa dei benzinai rimasti a
secco. Le code di automobilisti. E dalle finestre dell’ufficio di Lamur
si possono vedere quasi in faccia i poliziotti chiamati a presidiare la
zona. La rotonda divide il deposito della Total e la sede del sindacato
più arrabbiato di Francia. «Erano le quattro e mezza del mattino quando
sono arrivati - racconta Lamur - elicotteri, droni, cannoni ad acqua.
Era ancora buio. Non hanno detto nulla e hanno iniziato a sparare.
Sembrava la guerra».
Da ventiquattro ore, cinquecento lavoratori
di Fos-sur-Mer, metalmeccanici, chimici e portuali, impedivano ai camion
di uscire dal deposito per andare a distribuire il carburante. Il
governo ha deciso di intervenire. «E questa la chiamano democrazia!»,
tuona Lamur sotto un paio di baffi grigi Anni Settanta. «Ci hanno
costretti a rifugiarci nella sede del sindacato. Sembrava un assedio.
Hanno bloccato tutte le uscite. Ci hanno tenuti prigionieri per due
ore».
Non può essere un caso che sia successo proprio qui. Molti
ricordano ancora il blocco delle raffinerie Toy-Riont del 1968, quando
15 operai su 300 riuscirono ad occupare e bloccare l’impianto per una
settimana intera. Erano giorni di camminate e biciclette, quasi tutte le
auto ferme sotto casa. Allora Fos-sur-Mer era ancora chiamata «la
California della Provenza», ma stava per diventare uno dei più importati
poli siderurgici d’Europa. Veniva qui un giovane Jean-Cluade Izzo,
redattore per La Marseillaise e non ancora romanziere di successo, a
raccontare la trasformazione. «I circa 25 mila operai che lavoravano nei
cantieri venivano dalla Turchia, dalla Jugoslavia, dal Maghreb. Il
lavoro era a ciclo continuo, non si doveva fermare mai. E si stava
consumando una terribile strage occulta. Ogni tanto qualche operaio
spariva. Poi il corpo veniva ritrovato in una betoniera». Questo si può
leggere nella biografia di Izzo firmata da Stefania Nardini. È una
storia che ancora senti raccontare nei bar. «Siamo una città che ha
pagato sulla sua pelle ogni singola conquista sindacale» dice Roger
Lamour. «Non torneremo indietro».
Le barricate sulla rotonda hanno
fatto quattro feriti e sei arresti. In mezzo alla bolgia, ancora prima
che spuntasse l’alba, c’era anche Jean-Philippe Murru, nonni sardi,
figli francesi, operaio dell’azienda chimica Kemone, insieme ad altri
cinquecento. «Volevano chiudere la fabbrica. Stavano per mandare a casa
noi e quelli della Assometal. Ma lottando, tutti insieme, siamo riusciti
a scongiurare il pericolo. Avete capito? La precarietà serve a renderci
tutti soli». Cosa non va in questa nuova legge sul mercato del lavoro?
«Tutto non va» dice l’operaio Murru. «Ci possono licenziare a
piacimento. Possono obbligarci a fare quanti straordinari vogliono,
pagandoli di meno. Non garantiscono più la stessa assistenza sanitaria
ai lavoratori. Ma la cosa più grave è che hanno imposto questa legge in
totale disprezzo della democrazia, tagliando fuori il Parlamento».
Alle
nove di sera, sul tavolo della sala riunioni ci sono vino e patatine.
Cosa farete? «Adesso abbiamo bisogno di qualche giorno per raccogliere
le idee. Siamo provati dagli scontri. Prima di bloccare il deposito,
avevamo fatto sei manifestazioni inutili. Ma torneremo in strada.
Torneremo a far sentire la nostra voce». Avete bloccato la Francia,
dicono i telegiornali. «Non è vero. Il governo ha riserve di carburante
per due mesi, ma ha preferito lasciare questo caos in modo da mettere la
gente contro il nostro sindacato. Prima il caos, poi la guerra. Ecco la
loro strategia».