Corriere 25.5.16
Riforma costituzionale, le domande da fare
risponde Sergio Romano
Come
troppo spesso accade nel nostro Paese ho l’impressione che le premesse
del voto referendario di ottobre siano già sbagliate. Nel senso che chi
sta iniziando a fare campagna a favore del «no» sta personalizzando il
confronto più sulla figura di Matteo Renzi, e della sua permanenza al
governo, che sui quesiti per cui si andrà a votare. Cosa che, per
inciso, anche lo stesso presidente del Consiglio ha a suo modo favorito.
In realtà non ci dovremmo chiedere se sia meglio lasciare tutto com’è o
provare a cambiare qualcosa? Personalmente non sono molto entusiasta
dei cambiamenti costituzionali proposti. Il Senato sarebbe stato meglio
abolirlo anziché renderlo un non-senso che serve solo a mantenerne la
struttura e i suoi dipendenti. Alla regola superata del 50%+1 per il
quorum nei referendum hanno affiancato una sorta di soluzione «B» che
crea solo confusione. La legge elettorale, beh, quella è arrivata con 60
anni di ritardo dalla famigerata e mai abbastanza rimpianta «Legge
truffa». E tutti questi cambiamenti saranno poi contenuti in un solo
quesito! Che dire? Voterò anch’io «no?». Al contrario, personalmente
voterò «sì», turandomi il naso, come diceva Indro Montanelli, ma lo
farò. Perché l’alternativa di far restare tutto come prima sarebbe
peggio! Oppure sbaglio?
Mario Taliani Noceto (Pr)
Caro Taliani,
Come
quello del governo Berlusconi, il progetto sottoposto al referendum
confermativo del prossimo ottobre non è stato approvato da un’Assemblea
Costituente, vale a dire da un organo espressamente designato a scrivere
una Carta concepita organicamente. È stato approvato dal Parlamento,
ovvero in un luogo dove tutto viene contrattato e in cui gli interessi
contingenti delle singole forze politiche prevalgono spesso su esigenze e
considerazioni di più largo respiro. È inevitabile quindi che questo
progetto, come quello precedente, contenga compromessi che nuocciono
alla chiarezza e alla coerenza dell’insieme.
A questo punto,
essendo ormai evidente che l’Assemblea Costituente non piace alla grande
maggioranza dei politici italiani, l’elettore deve chiedere a se stesso
se vi siano riforme particolarmente necessarie per cui vale la pena di
rinunciare alla perfezione. Le prime domande, a mio avviso, concernono
il bicameralismo e sono queste. Conviene all’Italia e al buon
funzionamento del suo sistema politico che ogni legge debba essere
votata da due Camere in cui vi sono spesso maggioranze diverse? Conviene
all’Italia che il governo debba chiedere la fiducia di entrambe le
Camere? Se riterrà che il bicameralismo ha creato una democrazia lenta,
zoppicante e ricattata dai partiti, l’elettore giungerà inevitabilmente
alla conclusione che occorre modificare la natura e i compiti del
Senato. Molti hanno osservato, con qualche ragione, che la Camera alta,
così come è stata disegnata nel progetto del governo Renzi, non è né
carne né pesce. Ma la scelta, oggi, non è fra due tipi di Senato. La
scelta che dovremo fare, con il referendum del prossimo ottobre, è tra
la fine del bicameralismo perfetto e l’ennesima rinuncia a qualsiasi
riforma della Costituzione. Mi piacerebbe che l’elettore, prima di
votare, facesse a se stesso queste domande.