mercoledì 25 maggio 2016

Corriere 25.5.16
Una deriva che potrebbe danneggiare l’Italia
di Massimo Franco

Il veleno che continua a fluire nelle vene del Pd promette male: per le Amministrative del 5 giugno, per il referendum istituzionale di ottobre e per la stabilità. Le punzecchiature che ieri Matteo Renzi ha distribuito al proprio partito, alla Lega e al Movimento 5 stelle sono pezzi di una strategia chiara: presentarsi come un leader che ha tutti contro perché vuole cambiare. Dunque «deve» radicalizzare le posizioni avversarie, alcune delle quali assecondano con piacere questa logica. Il problema è che l’esasperazione tocca nervi scopertissimi tra i Dem. E fa riesplodere tensioni che al massimo si possono contenere.
Gli attestati e perfino la gratitudine che il premier riserva al gruppo di Denis Verdini per il sostegno al governo è un panno rosso agitato davanti alla minoranza del Pd. Quando Renzi sostiene di essere arrivato a Palazzo Chigi «perché il partito aveva perso le elezioni nel 2013», dice una verità sgradita a Pier Luigi Bersani, allora segretario. E quando aggiunge maliziosamente che ora Verdini «sembra un mostro ma era l’uomo che parlava con la prima linea di Bersani», sa di entrare in un terreno minato. E infatti gli viene risposto che una cosa è trattare con il transfuga di FI, altra allearcisi.
Non solo: Bersani precisa piccato di «non avere voluto fare il governo con Berlusconi e Verdini: avrei potuto farlo il giorno dopo». Ma queste polemiche retrospettive non fanno che accentuare la sensazione di una legislatura sfigurata dalla guerra dentro il Pd; e di strategie divergenti tra un Renzi che martella soprattutto sul M5S, mentre l’«altro Pd» lo invita a guardarsi dalla destra, additata come la vera minaccia. Così, la sensazione è che quando alcuni Dem chiedono a Palazzo Chigi di non spaccare il Paese, pensino in realtà al partito.
Il segretario-premier non condivide questa preoccupazione. Il suo dialogo è con il Paese, non con la sua minoranza interna. E la narrativa tende a offrire un’alternativa netta tra se stesso, la sua nomenklatura e le sue riforme, e «gli altri». Appelli come quello del presidente del Senato, Pietro Grasso, contrario ai toni alti che rischiano di «dividere, separare, dilaniare il Paese», sembrano dunque destinati a non incidere. Grasso chiede di analizzare i «contenuti della riforma costituzionale». In realtà, è come se le sue parole cadessero nel bel mezzo di una zuffa.
È un sospetto che magari sconfina nella malignità, ma sembra quasi che esista un accordo oggettivo tra Pd da una parte, e M5S, Lega e in parte Fi dall’altra, a polemizzare su tutto senza entrare mai nel merito delle questioni; a rinfacciarsi le peggiori scorrettezze, al punto da far pensare a un gioco delle parti. Non è chiaro chi abbia da guadagnare da questa strategia della rissa; e se qualcuno ricaverà davvero qualche vantaggio, alle Amministrative o a ottobre. L’unica cosa facilmente prevedibile è che ci rimetterà l’Italia.