La Stampa 25.5.16
Letta torna e attacca Renzi: fai del referendum una corrida
Enrico
Letta L’ex premier,che lo voglia o meno, ormai si caratterizza per
esser l’antagonista di Renzi, più dei vari esponenti della sinistra
interna già candidati al congresso anticipato
Il premier replica: tu al governo non hai fatto nulla. E litiga con Bersani
di Carlo Bertini
C’è
chi spacca il paese e chi invece no, questa sembra essere la musica che
gli avversari di Renzi vorrebbero mandare in onda di qui ai prossimi
cinque mesi fino al referendum e oltre. E se a suonare lo spartito di
chi spacca neanche dirlo viene piazzato Matteo Renzi, a interpretare
quello di chi può riannodare i fili o riunire i lembi strappati comincia
ad essere con sempre più visibilità Enrico Letta, l’ex premier. Che
ormai si caratterizza per esser l’antagonista, più dei vari esponenti
della sinistra interna già candidati al congresso anticipato. Ieri Letta
è di nuovo sceso in campo a gamba tesa, in un convegno sulle riforme
con Napolitano - che ha puntato il dito proprio sul «bicameralismo e
sulla posizione di minorità del governo come due debolezze della
Costituzione». Letta invece si è indignato per «il clima di corrida,
sbagliato, e la iper personalizzazione che il governo ha messo intorno
alle riforme». Dunque accusando Renzi di una sorta personalizzazione al
cubo di questo referendum, «un errore che rischia di trascinare tutti in
un dibattito lontano dai contenuti, che finirà per fare del male». A
chi? All’Italia. Tanto da lanciare «un appello ragionevole a tutti di
fermarsi e di smetterla con questo clima di corrida, non è quello di cui
il paese ha bisogno». Salvo poi ribadire «voterò a seconda dei
contenuti», che suona come un sì meno convinto di qualche mese fa.
Una
linea che ricalca quella di un suo mentore come Bersani, che anche ieri
è tornato ad attaccare Renzi che «spacca tutto, attacca, rottama. Ma è
pericoloso perché la gente è disamorata della democrazia, che non vede
più come una soluzione ai suoi problemi. Nella società, non solo
italiana, si muovono pulsioni preoccupanti e bisogna lavorare per unire,
non per creare fratture e se così non sarà io non ci sto, mi venite a
trovare a Bettola, da solo». Con una rasoiata sull’uso dei padri nobili
della sinistra, «prendono Ingrao, allora perché non mettere la foto di
Lenin dietro la Boschi, se non è monocameralismo quello dei Soviet...». E
anche lui - dopo aver incassato un niet sulla richiesta di cambiare
l’Italicum come condizione per impegnarsi nella campagna referendaria -
invoca un altro atteggiamento: «Renzi potrebbe riconoscere le ragioni
del no, dire che pure se vince ritocca la legge elettorale...».
Ma
il premier al solito contrattacca: intervistato da Repubblica Tv,
liquida il Bersani ex segretario e il Letta ex numero due, con un «se il
Pd non vinse le elezioni è perchè non convinse gli italiani. Letta poi è
stato un anno al governo e le riforme non si son fatte. Poi il
presidente della Repubblica chiama me e le riforme si cominciano a fare
anche con i voti di Ala. Oggi Verdini sembra il mostro di Loch ness ma
era quello che per Forza Italia trattava con Bersani». Apriti cielo.
«Vorrei ricordare a Renzi che io non ho voluto fare il governo con
Berlusconi e Verdini», replica acido Bersani. Insomma uno scontro al
diapason.
Anche se Renzi si concentra su chi ritiene siano i veri
avversari, i grillini, che come i leghisti, «sanno che se passa il
referendum uno su tre sta a casa e sono terrorizzati di perdere la
poltrona e vivere l’esperienza mistica di tornare a lavorare.». Quindi
getta in faccia l’arma dell’antipolitica ai 5stelle. Dicendo che
Giachetti è stato autonomo ed ha fatto la sua squadra da solo,
«l’opposto di chi firma un contratto come fosse un co.co.pro» della
Casaleggio. E l’Italicum non si discute perché «il ballottaggio ha
salvato Hollande in Francia e i verdi in Austria, con la nuova legge
elettorale in Italia chi vince governa per cinque anni».