La Stampa 25.5.16
Cina
La Repubblica popolare del divertimento
di Cecilia Attanasio Ghezzi
Un
giorno, forse, la chiameranno Repubblica popolare del divertimento.
Ormai il Paese che fino a qualche decennio fa liquidava il piacere come
un elemento decadente e borghese ha circa 850 parchi tematici, l’80 per
cento dei quali sono stati costruiti negli ultimi dieci anni. Ci sono
Disneyland, il Parco oceanico e quello di Hello Kitty. Ma anche prodotti
tipicamente cinesi in cui ripercorrere gli eventi fondanti del Partito
comunista locale o esplorare la cultura musulmana nel mondo. Non
mancheranno Ferrari e Universal Studios. Solo nel 2015 ne sono stati
inaugurati 21 e altri 20 sono già in costruzione.
Proprio domenica
scorsa, l’uomo più ricco di Cina, Wang Jianlin di Dalian Wanda, in
un’intervista trasmessa sulla televisione di stato Cctv si è scagliato
contro la prossima apertura del Disneyland di Shanghai. Sarà pure il più
grande del mondo, motivava, ma «qui ancora non è scattata una vera
moda, né abbiamo cresciuto una generazione che segue ciecamente Topolino
e Paperino». Per questo, «a nome di Wanda, voglio assicuravi che
l’investimento della Disney non vedrà profitti per i prossimi dieci o
vent’anni».
Sarà, ma il settore dei parchi divertimento fa gola a
molti. Ed è lui il primo a competere. Aprirà il suo undicesimo questa
settimana e prevede di arrivare a quota 15 entro il 2020. Per quella
data, si stima, il settore avrà un valore di 4,3 miliardi di euro contro
gli attuali tre; e i visitatori saranno il doppio degli attuali 180
milioni l’anno. Si tratta di un business che solo l’anno scorso ha
contribuito al 10,8 per cento del Pil nazionale e ha creato il 10,2 per
cento dei nuovi posti di lavoro. E che nell’ultimo quinquennio è
cresciuto più o meno dell’11 per cento ogni anno.
L’industria dei
parchi tematici è stata inaugurata con il primo Disneyland nel lontano
1955, in California. All’epoca la Repubblica popolare era appena a metà
strada del suo primo piano quinquennale. Doveva ancora vivere sulla
pelle dei suoi cittadini il Grande balzo in avanti e la Rivoluzione
culturale prima di aprirsi al trentennio di riforme e aperture che
l’hanno portata ad essere la seconda economia mondiale. Il primo parco
di divertimenti fu aperto solo nel 1989. Allora Mi Laoshu, come hanno
chiamato Topolino nella Repubblica popolare, non era certo famoso. La
Cina che si apriva all’Occidente puntava tutto sui suoi luoghi simbolo.
«Splendida Cina» erano 30 ettari alla periferia di Shenzhen dove in un
solo giorno si potevano visitare la Città proibita, la Grande muraglia,
il Potala e l’Esercito di terracotta. Tutto rigorosamente in scala 1 a
15 e tutto finto. Dalla sua apertura al 2005 ha visto 50 milioni di
visitatori generare un profitto netto di 130 milioni di euro. Un
successo che altri imprenditori non hanno tardato a voler emulare. Negli
stessi anni, parchi in tutto e per tutto simili al primo spuntavano
nelle periferie delle più diverse città dello sconfinato territorio
cinese. Erano terreni relativamente economici ma difficili da
raggiungere con le infrastrutture di allora. La corruzione e la poca
sicurezza degli impianti gli diedero il colpo finale. Secondo uno studio
di settore, nel 2011 il 70 per cento dei 2500 parchi tematici costruiti
era in perdita. E la maggior parte chiuse lasciando che rampicanti e
erba alta nascondessero le giostre e le repliche della Cina che fu. Il
governo, addirittura, smise di dare le licenze. E ricominciò solo nel
2013, appaltando per la prima volta ai governi regionali le
autorizzazioni.
I tempi, infatti, erano cambiati. E così le tasche
e i gusti dei cinesi. Uno studio sull’industria dei parchi divertimento
del 2015 spiega come quest’ultima abbia possibilità di espansione solo
quando il Pil procapite di una nazione supera i 5mila euro. La
Repubblica popolare li ha superati proprio nel 2011 e l’anno scorso è
arrivata a quota 7.100. Oggi Oct, l’azienda che ha aperto «Splendida
Cina» alla fine degli anni Ottanta, è la quarta del settore a livello
mondiale. Nel 2014 ha totalizzato 28 milioni di visitatori, circa un
quinto del suo più famoso competitor, la Disney. Ma quanto al mercato
cinese ancora non ha rivali. «Lasciate che qualcuno si diverta per
primo» avrebbe chiosato Deng Xiaoping.