La Stampa 24.5.16
La rivolta contro il pizzo degli immigrati di Palermo
Gli stranieri del mercato di Ballarò denunciano: dieci arresti
di Laura Anello
Hanno
trovato il coraggio che molti italiani non hanno. Denunciare. Nel
quartiere multietnico di Ballarò – vicoli stretti che odorano di spezie
africane e orientali – sono stati i migranti a dire no alla mafia. A
raccontare degli esattori del racket che imponevano la loro legge: «Se
non paghi ti ammazzo», dicevano. E quelli, invece di pagare, hanno
alzato la testa e, con l’assistenza dell’associazione Addiopizzo, sono
andati a fare nomi e cognomi alla polizia. Un gruppo di negozianti del
Bangladesh contro Cosa Nostra.
E hanno vinto loro.
Ieri gli
agenti hanno arrestato dieci persone di un gruppo criminale tanto
giovane quanto feroce, gente che non esitava a mettere la pistola alla
tempia ai figli degli immigrati, a minacciare di morte le loro donne, a
picchiare chiunque si ribellasse. Sono accusate di estorsione, con
l’aggravante della mafia e dell’odio razziale. A capo della gang la
famiglia Rubino. Uno di loro, un mese fa, Emanuele Rubino, fu arrestato
per tentato omicidio dopo avere sparato un colpo di pistola alla testa
un ragazzo gambiano, Yusupha Susso, che si salvò per miracolo. Una
sparatoria in diretta video, ripresa dalle telecamere del quartiere. «Da
qui non si passa», gli aveva detto il boss. E il ragazzo, con il
candore e la forza di chi non sa chi ha di fronte, gli aveva dato un
pugno. Quello, per tutta risposta, era corso a prendere la pistola. Ne
era nata una mobilitazione, con la città scesa in piazza a portare
solidarietà a Yusupha, un’iniziativa che non era piaciuta ai boss. «Stai
attento che mando all’ospedale te e tuo cugino, perché siete andati
alla manifestazione, diceva a un commerciante immigrato il fratello
dell’aggressore, Giuseppe Rubino.
La punta di un iceberg di
vessazioni e violenze. Bastava ancora meno, bastava uno sguardo, per
finire nel mirino. «Chi ci talìì, avanzi picciuli?», che cosa guardi, ti
devo dei soldi?, aveva urlato un mese fa a una delle vittime. E giù
botte. «Mi devi dare cinquanta euro a settimana per continuare a
lavorare – diceva a un altro dentro a un negozio – altrimenti ti finisce
male». Nel mirino erano finiti anche tre nigeriani che si erano
permessi di rimproverare dei ragazzini che giocavano a pallone in
maniera troppo chiassosa. I tre immigrati furono rinchiusi in una casa,
che venne poi data alle fiamme mentre la folla gridava: «I neri sono
dentro». Li salvarono i vigili del fuoco, portandoli in ospedale, pieni
di ustioni e intossicati. E ancora due tunisini furono picchiati con i
bastoni perché evitarono uno scippo. Una colpa gravissima per i commando
che li picchiò in strada fino a quando non arrivò la polizia chiamata
dalle fidanzate degli immigrati. Finì anche questa volta con pistole e
minacce: «Vi ammazziamo tutti se ci denunciate».
Così adesso, in
queste strade ripopolate dai bazar dei neri, ogni pregiudizio è
rovesciato. I brutti, sporchi e cattivi non sono i migranti, gente che
di sopraffazione ne ha inghiottita tanta prima di arrivare qui in
Italia, ma sono i bianchi che – per dirla con il capo della squadra
mobile Rodolfo Ruperti – «se la sono presa con le comunità più deboli
del centro storico». Tanti piccoli Davide che hanno messo in scacco
Golia. E che hanno segnato una data importante nella storia
dell’antiracket. «Per la prima volta a Palermo una denuncia collettiva –
dice il comitato Addiopizzo, un esempio per tutta la comunità
palermitana».