lunedì 23 maggio 2016

La Stampa 23.5.16
Il tabù infranto e la guerra intestina
tra le associazioni degli antifascisti
Ma anche i fautori del Sì criticano “la frase provocatoria”
di F. Grignetti - F. Giubilei

Probabilmente la ministra Maria Elena Boschi si sarà morsa la lingua, quando s’è resa conto di quale bomba fosse esplosa per la sua frase sui partigiani. Il fatto è che la giovane Boschi, classe 1981, ha davvero infranto un tabù per la sinistra italiana con quell’irrisione verso chi guida l’associazione dei partigiani senza esserlo mai stato.

Certo, un tempo le associazioni d’area, tipo l’Anpi o l’Arci, non avrebbero osato schierarsi contro il segretario del «loro» partito. Stavolta, no. E se Renzi divide il popolo della sinistra, non c’è poi da meravigliarsi se la spaccatura si ripropone anche tra i partigiani.
Così, Umberto Lorenzoni, nome di battaglia «Eros», da Treviso, è stato tranchant nel replicare alla Boschi: «È chiaro che la ministra non ha conosciuto i “partigiani veri” perché voteranno tutti per il No. Non consentiremo che una dama bellina storpi la Costituzione conquistata con il sangue di migliaia di partigiani. L’Anpi ha votato e ha deciso all’unanimità, con 3 contrari, di dire No alla riforma».
Posizione opposta a quella di Germano Nicolini, «Comandante Diavolo», che da Correggio dice: «Voterò Sì. Il No è stata un’operazione verticistica». Quanto a Renzi e alla Boschi, «non sono certo dei cretini».
La pensa come lui anche Otello Montanari, da Reggio Emilia, il partigiano che per aver alzato il velo sulle vendette del dopoguerra ha subito un lungo ostracismo: «Io - dice - al referendum voterò Sì e appoggio la ministra Boschi nella sua campagna, ma non sono per le contrapposizioni secche. Dico che chi vota in quel modo sbaglia perché va contro la modernizzazione del Paese, ma il suo diritto lo considero e non escludo che sia esercitato da veri partigiani».
È un fatto, però, che la Boschi, richiamando brutalmente le ragioni del calendario, ha ricordato che di «partigiani veri» ormai in vita ce ne sono pochi. Dei 120 mila iscritti all’Anpi, qualche decina.
A battibeccare, insomma, sono soprattutto i giovani che si iscrivono all’Anpi per ragioni ideali e non per storia combattentistica. Così è per Paolo Calvano, trentacinquenne segretario Pd dell’Emilia-Romagna, che è andato a sostenere le ragioni del Sì nel congresso Anpi della sua regione. Oppure per Gianluigi Amadei, figlio dell’ex comandante della 28a Brigata, Antonino Amadei, che ha promosso una petizione a favore di chi vuole potersi impegnare pubblicamente per il Sì senza incappare nella scomunica dei vertici. «Oggi - dice Amadei - non so chi possa dire cosa farebbero i partigiani veri, anche perché sono rimasti veramente in pochi. Penso comunque che l’Anpi nazionale non può chiedere ai suoi iscritti di limitarsi ad esprimere il voto nell’urna senza partecipare a iniziative pubbliche per il Sì».
Di contro c’è Anna Cocchi, presidente Anpi a Bologna, nata nel 1949 quando la resistenza era finita: «L’intervento del ministro è molto provocatorio. D’altra parte qui è una provocazione continua. Le modifiche della Costituzione stanno a cuore anche a noi, ma modifiche, non stravolgimenti. Questo stile e questa arroganza non sono graditi all’Anpi».
Un’Anpi che è gelosa della sua indipendenza. E infatti il presidente Carlo Smuraglia scrive ai 70 senatori dem che lo criticavano: «Vi dichiarate tutti “iscritti e sostenitori dell’Anpi”, ma io non vi ho mai incontrato nel lungo cammino che abbiamo percorso...».