sabato 21 maggio 2016

La Stampa 21.5.2016
Il fascino di Putin in Europa
di Cesare Martinetti

I generali della Nato che dalla base polacca di Redzikowo scrutano l’orizzonte e si dicono pronti a sparare nel caso Mosca decida l’attacco all’Estonia, non hanno capito che Vladimir Putin, senza sparare un colpo, è già tra noi. Nel consiglio regionale veneto, per esempio, che l’altro giorno si è autoproclamato soggetto di politica estera ed ha riconosciuto la Crimea ritornata russa due anni fa con il primo colpo di mano alla sovietica dopo l’89.
O nei ricchi finanziamenti al partito di Marine Le Pen. Nell’appoggio all’estrema destra austriaca che domenica può arrivare al vertice della repubblica. Nel sostegno diretto o indiretto a tutti i movimenti antisistema che stanno proliferando nell’Unione europea, dall’ungherese Orban, agli spagnoli di Podemos ai tedeschi dell’AfD. Vladimir Putin è ormai un leader globale post novecentesco e cioè oltre la destra e la sinistra.
Intanto dal Veneto leghista ha incassato un riconoscimento straordinario dal suo grande sostenitore Matteo Salvini. Finora l’avevano fatto soltanto Corea del Nord, Siria, Zimbabwe, Uganda, Kirghyzstan. Naturalmente nessuno stato dell’Unione europea e tantomeno nessuna regione. Una provocazione per ottenere la cancellazione delle sanzioni di cui si sta discutendo il rinnovo. Gli elettori del pragmatico leghista Luca Zaia, governatore del Veneto, premono su regione e governo. Secondo il conteggio della Cgia di Mestre, le sanzioni sono costate circa 3,6 miliardi di euro in mancate esportazioni: 1,18 miliardi alla Lombardia, 771 milioni all’Emilia Romagna, 688,2 milioni al Veneto.
Un pezzo significativo di mondo economico che dopo il referendum in cui gli abitanti della Crimea hanno in gran maggioranza detto sì ai russi, non capisce le ragioni di tanto accanimento ideologico che da parte di americani, baltici e polacchi in questi due anni ha di gran lunga sopravanzato i toni da Guerra Fredda usati dai russi. Non sanno e non gli importa un granché del destino storico e simbolico dell’Ucraina che ha ricevuto così il secondo schiaffo dall’Europa, dopo il no del referendum olandese. Il presidente Poroshenko ha protestato, ma chi si interessa più di cosa accade laggiù? E nel Donbass si spara ancora?
Ma se la pressione dei veneti è certamente giustificata (molti in Francia e Germania la penseranno come loro) e il danno economico indiscutibile, le cose in politica estera sono più complicate. Nel reportage di Monica Perosino dalla base Nato polacca pubblicato su la «Stampa» di domenica scorsa, si respirava un clima di rilancio della guerra di propaganda da parte occidentale del tutto asimmetrica rispetto alle abili mosse di Putin. Ma davvero qualcuno pensa che possa invadere uno Stato Baltico? Il capo del Cremlino sta usando da tempo ben altre armi sulla vecchia Europa, un soft power aggiornato ai tempi. Basta leggere su internet il sito «it.sputniknews.com» («è solo l’inizio», diceva ieri a proposito del voto veneto) dove rimbalza una propaganda molto meno grossolana del passato. Anche l’incontro a Cuba tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill (molto fedele al Cremlino) è servito alla causa. E ora in molti ambienti ultraconservatori cattolici, in Francia ma anche in Italia, si guarda a Putin come il difensore della cristianità e il vero leader alternativo alla «dittatura» dell’Unione europea. Non si sa quanto fosse chiaro tutto questo ai leghisti veneti che dopo aver celebrato il guitto scomparso Lino Toffolo hanno riconosciuto la Crimea. Ma di certo, come dice sputniknews, è un passaggio che complica la partita.