La Stampa 21.5.2016
“Se al referendum vince il no Renzi non deve dimettersi”
L’ex
segretario Pd: non ci sia alcun legame tra governo e Costituzione
Appoggerei Letta candidato alla segreteria? Su di lui nessun problema
intervista di Carlo Bertini
Pierluigi
Bersani non sarà in piazza a celebrare il referendum day. A sentirlo
parlare e a guardare l’espressione dei suoi occhi quando si rivolge a
Renzi, non sembra esserci aria di quella tregua pre-elettorale chiesta
dal premier. Per schierarsi col fronte del sì l’ex leader Pd pone una
sfilza di condizioni, in primis che si confermi l’elezione e non la
nomina dei senatori. Poi pretende che non si parli di espulsioni dalle
liste elettorali di chi voterà no in dissenso dalla “ditta” e alza la
voce quando lo dice.
Un comitato del sì a suo nome lo farà Bersani?
«Adesso
concentriamoci sulle amministrative. Il mio giudizio su questa riforma è
che nella somma tra pregi e difetti è comunque un passo avanti, purché
ci sia la legge elettorale per i senatori e mettendo a verbale che c’è
un problemone che si chiama Italicum. Quella legge va rivista e appena
si dovesse riaprire la questione io dirò che serve il doppio turno di
collegio, se vogliamo fare una cosa seria, altrimenti la questione è
pericolosa sotto il profilo democratico».
Ma al referendum dirà sì?
«Voto
sì se non si cambiano le carte in tavola. Non voglio che si usi la
Costituzione per dividere un paese, per affermare supremazie personali o
nuovi percorsi politici o per selezionare classi dirigenti. Quindi
chiedo a Renzi di rispondere alla seguente domanda: se un insegnante,
operaio o costituzionalista, intende votare o lavorare per il no è un
gufo, un disfattista, va buttato fuori dal Pd, non può candidarsi nel
Pd? Deve rispondere, se no io mi ritengo libero».
Se lei fosse segretario accetterebbe che qualcuno facesse comitati contro la riforma del Pd?
«Illustrerei
l’indicazione del partito, mi aspetterei che non ci fosse un impegno
organizzativo di un dirigente Pd nei comitati per il no, direi che
ovviamente c’è libertà, ricorderei che la Costituzione è il campo delle
regole di tutti. Invece di discutere di riforma del Senato qui si
discute di come dividere l’Italia e far prevalere gli arcangeli sui
gufi».
Ma cominciare la campagna referendaria a ridosso delle comunali non è un modo per motivare la vostra gente?
«Di
qui a ottobre ci sono cinque mesi, dobbiamo chiedere il voto ai
ballottaggi anche a gente orientata al no. Io giro per le
amministrative, stiamo perdendo di vista che il centrosinistra ha la sua
vera radice nel territorio. E poi il tema economico e sociale non può
essere lasciato sullo sfondo: c’è il problema che cresciamo poco, che
c’è poco lavoro e un allargamento della forbice sociale che non ha
paragoni come dinamica dal dopoguerra ad oggi».
L’ok dell’Ue alla flessibilità è una conquista dell’Italia o no?
«L’Ue
ha allargato le maglie con tutti perchè ha capito. E noi cresciamo poco
perché abbiamo pochi investimenti e poca produttività. Mi aspetterei
che si partisse da li. Cosa farei domattina? Senza riti, chiamerei
industriali e sindacati per dirgli: metto in pista delle misure con
pochi soldi per sollecitare investimenti pubblici e privati nelle
frontiere tecnologiche che possono fertilizzare nuove attività. Assieme
discutiamo della contrattazione decentrata per incoraggiare la
produttività e discutiamo sul serio di welfare. Farei queste cose e
lascerei perdere fondi a pioggia...».
Lei rigetta la personalizzazione. Se Renzi perdesse il referendum non si dovrebbe dimettere?
«Assolutamente
no, trovo improprio che ci sia questo legame tra governo e
Costituzione. Ma che precedenti stiamo costruendo? Diamo in mano la
Costituzione al primo governo che passa? Finchè ci siamo noi che siamo
bravi e democratici bene, ma attenzione, guardiamo come è messa
l’Europa. E chi è democratico tenga conto che ogni cosa che fa può
essere un precedente. E ne stiamo accumulando troppi. Diciamolo chiaro
ancora una volta: un voto sulla Costituzione non può essere né un
referendum sul governo né il laboratorio di un nuovo partito».
Si riferisce a Verdini?
«Queste
transumanze trasformistiche lanciano un messaggio devastante, che la
politica è “Francia o Spagna purché se magna”. Io non personalizzo, ma
Verdini è un soggetto pseudo politico che si inventa per fare
transumanze di ceto politico nazionale e locale, con le loro filiere
elettorali. E queste filiere non portano più voti, fanno perdere dei
buoni voti, quelli intenzionali».
A Roma voterà o no Giachetti?
«Voto
Pd sempre con piacere e a lui, siccome dice che vuole lasciarsi alle
spalle un pezzo di Pd, chiedo se si riferisce anche a me...».
E il congresso anticipato offerto da Renzi vi garba?
«Prima
si fa meglio è, ma che sia una cosa seria, perchè lo stato del partito è
molto friabile e permeabile e dunque facciamolo bene, in termini di
regole. In modo da non svegliarsi un mattino con le gazzette locali che
scoprono che è successo questo e altro».
Speranza è lo sfidante giusto contro Renzi?
«Io non faccio il king maker, ma lui sa cosa è la politica e la moralità della politica, quindi lo stimo».
Oppure potrebbe essere Letta il vostro candidato?
«Su
Letta non ho mai avuto nessun problema. E continuo a dire che non è
vietato, ma non lo ordina il dottore, che un segretario sia candidato
premier. E al congresso porrò questo tema».