domenica 1 maggio 2016

La Stampa 1.5.16
“Quel meteorologo è troppo brillante. Spediamolo subito in un gulag”
La storia di Aleksej Vangengejm, comunista convinto e geniale anticipatore dell’energia eolica Popolarissimo nell’Urss, fu mandato a morire da Stalin come capro espiatorio della carestia
di Mirella Serri

Il socialismo, diceva Lenin, era il potere dei soviet più l’elettrificazione. Per il meteorologo Aleksej Feodos’evich Vangengejm invece era i soviet più le energie rinnovabili. Già, proprio così. Scienziato assolutamente d’avanguardia, creatore di un’impresa mastodontica come il Servizio idrometeorologico unificato dell’Urss, in anticipo sui tempi, Vangengejm aveva progettato di fornire l’energia elettrica non secondo i metodi più tradizionali ma con una foresta di pale eoliche che andasse dallo stretto di Bering e dalla Kamchatka fino alle coste del Mar Nero.
Proposte avveniristiche per gli Anni Trenta: eppure Vangengejm è stato completamente dimenticato. «Nel 1934 - scriveva - avrei dovuto concludere il primo atlante della distribuzione dell’energia dei venti in Urss. Sarà sicuramente pubblicato. E così sarà per il catasto del sole… Ben presto i vasti territori dell’Unione Sovietica saranno elettrificati dall’energia del vento. Senza di me, però», rilevava.
Niente di più vero: mentre redigeva queste note era diventato il numero 34776 che accompagnava la sua foto segnaletica nel carcere «a regime speciale» delle isole Solovki, il primo Gulag. Ma quali gravi colpe poteva aver commesso uno studioso di variazioni climatiche? A raccontare adesso la storia del Meteorologo (Bompiani, € 18, pp 174) è lo scrittore Olivier Rolin il quale ha ritrovato nella biblioteca del lager dove Vangengejm fu rinchiuso, le commoventi lettere alla figlia Eleonora (divenuta una famosa paleontologa, si suiciderà a tarda età nel giorno della ricorrenza dell’arresto del padre). Autore di numerosi romanzi, Rolin si è formato nei combattivi Anni Settanta e ha militato nella radicale «Sinistra proletaria» francese. Ora ha lavorato intensamente per riportare alla luce la vicenda del meteorologo finito nella rete dei processi staliniani non solo per la singolarità di questa storia ma anche per tributargli uno speciale omaggio: quello della sua generazione e di tutti coloro che nel Novecento per tanto tempo hanno chiuso gli occhi e volutamente ignorato «la storia atroce di ciò che fu il socialismo reale».
Studente assai brillante, Vangengejm aveva cominciato a farsi notare occupandosi di pluviometria, di igrometria e di pressione barometrica. Nella Prima guerra mondiale fu a capo del servizio meteorologico in Galizia e le sue conoscenze in battaglia furono fondamentali: prevedere pioggia e vento serviva a rendere efficaci e precisi gli attacchi con i gas mortali.
Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, Vangengejm, che condivideva gli ideali del regime comunista, diventerà un personaggio cardine per lo sviluppo dell’agricoltura socialista con i bollettini radio da lui ideati, con la creazione di stazioni meteorologiche e il servizio per l’intero Paese, che lui chiamava «mio caro bambino sovietico». Il meteorologo divenne una personalità di spicco, amico e frequentatore delle massime autorità sovietiche - da Gor’kij alla Krupskaja, la vedova di Lenin, al commissario del popolo per l’educazione, Lunacharskij, a Stalin. I suoi studi, sempre in anticipo sui tempi, andavano dal rapporto tra salute e ambiente, allo sviluppo dell’energica eolica e solare che «permetteranno - annotava - di lottare contro la siccità e contro il deserto, là dove si trovano venti forti e caldi e dove è assai difficile far pervenire carburante per i motori. Ben presto i grandi territori dell’Unione Sovietica saranno tutti elettrificati grazie all’energia alternativa». Nel momento in cui lo arrestarono aveva in tasca alcuni importanti articoli scientifici proprio su questi temi.
Le accuse contro di lui? Era colpevole di sabotaggio del Servizio idrometeorologico, di previsioni intenzionalmente errate per danneggiare le coltivazioni, di distruzione della rete delle stazioni (da lui stesso costruita) per prevenire la siccità. In realtà aveva pubblicato sulla rivista da lui diretta l’articolo di uno studioso che, sostenendo una teoria innovativa sulle depressioni atmosferiche, non aveva citato il pensiero di Lenin e Stalin. Ma c’erano anche i colleghi invidiosi che lo denunciarono come controrivoluzionario e c’era, soprattutto, il desiderio, da parte di Stalin, di addossare i danni delle carestie e della collettivizzazione forzata a un capro espiatorio.
Vangengejm proverà a resistere, poi confesserà sotto tortura. Condannato a dieci anni di lavori forzati, con il suo bagaglio che consisteva in un fazzoletto fu spedito nel campo di lavoro da cui sperava di tornare nel 1944. Ma dopo tre anni di sofferenze in una cella senza cibo, torturato dal gelo e dalla fatica sarà deportato altrove, senza alcun diritto alla corrispondenza. Sparì nel nulla. Quando nel 1956, l’anno della denuncia dei crimini staliniani, la sua pratica fu riaperta, il tribunale militare decretò: «Il caso è chiuso perché il fatto non sussiste. Vangengejm Aleksej Feodos’evich è riabilitato a titolo postumo». Insomma non aveva fatto niente.
«Il mio nome scomparirà senza lasciare traccia», aveva scritto alla figlia che sarà messa al corrente della sua vera fine solo dopo sessant’anni. Verrà a sapere che suo padre era stato preso a bastonate, poi era stato portato tutto nudo in un bosco e fucilato. Il suo nome e le sue idee furono depennate da tutte le pubblicazioni scientifiche. Con grave danno proprio per le conquiste del socialismo in cui Vangengejm aveva tanto creduto.