Corriere La Lettura 1.5.16
Marina Cvetaeva
Tanti baci al vampiro innamorato
Ogni
volta che si legge Marina Cvetaeva si resta sorpresi e un po’
intimoriti. Si tratti dei versi, delle lettere, della riflessione sulla
poesia, ogni cosa viene portata all’estremo, quasi toccasse un punto
limite al di là del quale non potrebbe più essere non solo accettata ma
perfino compresa. La fascinazione per la sua integrità etica ed
estetica, per l’altezza del pensiero, per l’intensità dei sentimenti e
la determinazione delle scelte, si unisce così a un senso d’incredulità e
d’inadeguatezza. C’è in lei qualcosa di arduo e di smisurato, ed è
proprio questo a fare paura.
Così, quando a proposito della prima
versione del poema Il ragazzo , afferma che si tratta di un «mostro
strano», di un «poema terribile», riconosciamo subito di trovarci in
quel territorio di sacre e vertiginose conquiste che più le appartiene.
«Non un poema: un’ossessione, e non sono stata io a finirlo ma lui a
finire me», scrive ad esempio a Boris Pasternak, a cui era stato
dapprima dedicato.
Come in ogni evento della sua esistenza, anche
l’elaborazione di quest’opera non è stata senza martirio. Tra la fine
del 1922 e l’inizio dell’anno successivo, aveva scritto in russo un
poema intitolato Il Prode , che sarebbe poi uscito a Praga nel 1925.
Quindi tra il 1929 e il 1930, durante il lungo e difficile esilio in
Francia, lo aveva tradotto o più propriamente riscritto in francese,
cambiando tra le altre cose il titolo in Le Gars , cioè appunto Il
ragazzo . Tuttavia, con grande dolore della Cvetaeva, che fin da subito
gli aveva attribuito un ruolo decisivo nello svolgimento della sua
poesia, proprio per la sua inadattabilità a qualsiasi canone poetico à
la page non riuscì mai a trovare un editore. Verrà invece pubblicato
largamente postumo, sempre in Francia, nel 1991.
Di tutte queste
vicissitudini, nonché dei principali argomenti legati al poema, rende
ragione con molta esattezza Annalisa Comes, che ne ha curato una nuova
edizione per Le Lettere. Già da tempo la scrittrice aveva lavorato con
la sua poesia sul folklore russo. E in questo caso il racconto di
riferimento è una delle Fiabe popolari russe di Aleksandr Afanas’ev, dal
titolo Il vampiro .
In realtà, il suo interesse è del tutto
anti-folkloristico, dal momento che intende rivelare a se stesso il
cuore di un intreccio che la tradizione popolare ha in qualche misura
addomesticato e reso edificante, vale a dire accettabile. Al contrario,
la Cvetaeva non aspira a garantire alcuna coesione comunitaria né a
rispettare l’ordine stabilito delle convenzioni. Come sempre, ha di mira
l’assoluto, e nient’altro. Rispetto alla fiaba che racconta l’amore
della bellissima Marusja per un giovane vampiro, nel poema l’essenziale
viene infatti capovolto: la passione risulta irresistibile e la storia
diventa quella di una trasformazione e liberazione non, come nella
fiaba, dall’amore, bensì attraverso l’amore.
«Questa è la storia
di una giovane umana che preferì perdere i suoi cari, se stessa e la sua
anima piuttosto che il suo amore. […] Di una umana divenuta inumana. Di
un dannato divenuto umano», scrive nella sua prefazione. L’amore, che è
non solo il tema fondamentale ma il movente stesso della scrittura del
Ragazzo , viene inteso qui come un’energia insieme sublime e distruttiva
che non conosce mezze misure, a cominciare dalla misura stessa del
verso, che impone infatti la sua diversa e particolarissima
legislazione.
Un verso antico? Un verso nuovo? Difficile
rispondere. Certo è che se preso dal punto di vista delle convenzioni
poetiche, tutto risulta straordinariamente eslege. Eppure ogni sequenza,
ogni slogatura del discorso, ogni accensione, ogni trattino,
ubbidiscono a una legge interna la cui autorevolezza non ammette
smentite: i versi brevi, l’insistenza delle rime e delle sillabe
accentate, un ritmo veloce e incalzante, a dire della premura dei
personaggi e del soffio della loro voce, ma anche a renderli un poco
straniati, come se le loro parole li portassero almeno un poco al di là
di se stessi.
E altrettanto deve dirsi sotto l’aspetto
linguistico, perché la Cvetaeva fa di una lingua altamente normativa e
codificata come il francese un territorio di deviazioni e trasgressioni
continue. Trasgressioni, sì, ma poi ricomposizioni su un piano diverso, e
più alto: quello appunto dell’amore e, per la Cvetaeva senz’alcuna
differenza, della poesia. «Un cuore/ Un corpo/ Accordo/ Volo// Uniti/
Stretti/ Al cielo/ Senza fine». Non è possibile per lei immaginare altra
conclusione che questa, lieta o funesta che sia.