giovedì 19 maggio 2016

La Stampa 19.5.16
I Cinque Stelle e la tentazione della linea soft sul referendum
di Marcello Sorgi

Virginia Raggi, candidata-sindaca del Movimento 5 stelle in pole position nei sondaggi per la Capitale, dice che si dimetterebbe se Grillo glielo chiedesse e che sottoporrebbe le sue decisioni di prima cittadina allo staff, come vuole lo statuto stellato. Roberto Giachetti, candidato del Pd alla rincorsa dell’unico posto rimasto libero al ballottaggio per Roma, la attacca duramente, sostenendo che non si può affidare il governo della città più importante d’Italia a una persona eterodiretta, che non rivendica alcuna autonomia e manca di rispetto agli elettori.
La campagna elettorale per le comunali del 5 giugno entra nel vivo e si fa più aspra nella Capitale, dove la partita è molto aperta e i tre avversari della Raggi, Giachetti, Marchini e Meloni sono a un’incollatura. Va da sé che per Giachetti, candidato scelto da Renzi e uscito vincitore alle primarie, restare fuori già al primo turno significherebbe riversare sul premier e sul Pd una pesante sconfitta. Mentre invece sarebbe decisivo giocarsela al ballottaggio, quando il gioco sostanzialmente si azzera e le motivazioni degli elettori, sia sulla scelta di andare o no a votare, sia per chi, maturano nelle due settimane che passano da un appuntamento elettorale all’altro.
Raggi e M5s sono dunque l’avversario da battere. Ed ecco, martedì, lo scontro sulla legge che fissa i principi di democrazia interna dei partiti, e subito dopo quello sulla candidata diretta da dietro le quinte come un burattino. E difesa, in serata, a «Otto e mezzo», dal vicepresidente della Camera Di Maio, che ha confermato che il Movimento non intende far marcia indietro sul caso Pizzarotti, neppure dopo che il sindaco di Parma ha contestato la sospensione. Durissimo sulle amministrative, a sentire Di Maio lo scontro sul referendum forse sarà meno acceso: ferma restando la contrarietà alla riforma costituzionale, non ci saranno sanzioni per i grillini che non dovessero condividere il No alla ristrutturazione del Senato e del rapporto tra Stato e Regioni proposto dal vertice. Sotto sotto c’è chi dice che nelle urne referendarie l’opposizione stellata si farà sentire fino a un certo punto, dato che il Movimento avrebbe molte più chance di battere Renzi con il nuovo assetto che uscirebbe dalla riforma combinata con la nuova legge elettorale.
Post-scriptum: ieri per errore ho scritto che nel referendum del 1974 il divorzio venne mantenuto con il 68 per cento dei voti (che fu la percentuale dei favorevoli all’aborto nel 1981), e non con il 59,20.