La Stampa 18.5.16
Sterminate quei monaci
Firmato: il viceré Graziani
Un
docufilm solleva il velo sulla più grande strage di religiosi cristiani
mai compiuta in Africa. Nel 1937 i soldati al comando del generale
italiano uccisero per rappresaglia duemila persone: mille erano membri
del clero
di Andrea Tornielli
È stata la più
grande strage di religiosi cristiani mai avvenuta in Africa. Più grande
ancora di quella compiuta in questo stesso luogo dagli Ottomani nel
luglio del 1531. È costata la vita a circa duemila persone, la metà
delle quali erano preti, monaci e diaconi, e a compierla non sono state
milizie islamiste ma i soldati al comando del viceré italiano d’Etiopia
Rodolfo Graziani. Quella avvenuta nel maggio 1937 nel monastero etiope
di Debre Libanos è una voragine nella nostra memoria e una ferita ancora
aperta nei rapporti tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa
d’Etiopia.
A sollevare il velo di silenzio che ancora avvolge quei
fatti è un docufilm di oltre un’ora che sarà trasmesso da Tv2000 sabato
21 maggio alle ore 21 e replicato domenica alle 18,30. Antonello
Carvigiani, giornalista e autore del reportage, ha riportato alla luce
documenti e testimonianze inedite scovando anche l’ultimo testimone
ancora vivente. E grazie al contributo del più importante studioso della
strage, lo storico inglese Ian Campbell che sta per pubblicare un libro
sulla vicenda, ricostruisce nel dettaglio l’accaduto.
Il
monastero di Debre Libanos, fondato nel XIII secolo dal santo Teclè
Haimanòt, si trova nella regione degli Amara, a Nord-Ovest di Addis
Abeba, ed è situato tra una rocca e una gola create dall’affluente del
fiume Abbay. È ancora oggi il polmone spirituale del cristianesimo
ortodosso etiope.
«Tutti sistemati»
L’antefatto della strage
si verifica il 19 febbraio 1937, quando Rodolfo Graziani subisce un
attentato durante una cerimonia pubblica nella capitale etiope. Alcuni
esponenti del movimento dei patrioti ribelli, mescolati tra la gente,
lanciano degli ordigni: muoiono sette persone e il viceré italiano
rimane gravemente ferito. Sulla base delle prime informazioni che
parlavano di un coinvolgimento dei monaci, senza prove e senza attendere
l’esito delle indagini ufficiali, Graziani dà l’ordine al generale
Pietro Maletti di massacrare tutto il clero di Debre Libanos.
Il
documentario di Tv2000 ricorda che le truppe italiane circondano l’area
il 18 maggio, lasciando transitare i fedeli diretti al monastero per la
festa di san Michele che si sarebbe celebrata nei giorni successivi, ma
impedendo allo stesso tempo di uscire a quanti volevano farlo. I
pellegrini rimangono dunque intrappolati, vittime della stessa sorte che
toccherà ai monaci. Poi viene sferrato l’attacco.
Secondo le
ultime ricerche storiche, il numero dei morti sarebbe compreso tra 1.800
e 2.200: Ian Campbell ritiene che duemila sia la cifra che più si
avvicina alla realtà, nonostante il rapporto ufficiale stilato dal
viceré per Mussolini si limiti a citare 449 morti. «I numeri delle
vittime riferiti da Graziani furono molto bassi - spiega Campbell -,
sappiamo che il numero dei membri del clero, inclusi i monaci, non era
inferiore al migliaio». In un telegramma del generale Maletti, spedito
il giorno successivo alla strage, si legge: «Confermo che tutti
indistintamente i personaggi segnalati sono stati definitivamente
sistemati».
L’ultimo testimone
L’autore del docufilm ha
potuto incontrare e intervistare l’ultimo testimone della strage,
l’ultranovantenne Ato Zewede Geberu, all’epoca bambino. «Nel giorno
della festa di san Michele non sono andato a Debre Libanos. Moltissimi
fedeli dei villaggi qui intorno sono andati al monastero. Ma la mia
famiglia quella volta decise di non andare. Una decisione che ci ha
salvato la vita. Non ho visto il massacro. Ma l’ho sentito. Ho sentito i
colpi della mitragliatrice. Abbiamo avuto paura, siamo rimasti nascosti
nel nostro villaggio. Due-tre giorni dopo sono andato a vedere. C’erano
ancora i cadaveri, centinaia di morti, forse 600, 700… E gli animali
cominciavano a mangiarli. C’erano soldati italiani che si aggiravano
ancora da quelle parti».
L’eccidio avviene in un luogo isolato.
Lontano da testimoni. Molti corpi sono lanciati in una gola profonda
circa 500 metri. La memoria della strage doveva essere dolorosa anche
per chi l’aveva commessa eseguendo gli ordini ricevuti. Racconta il
monaco Abba Hbte Gyorgis: «Alcuni anziani mi hanno raccontato che i
militari italiani usavano ombrelli bianchi per proteggersi dal sole.
Dopo la strage, alcuni soldati hanno portato al monastero il loro
ombrello bianco per chiedere scusa. In segno di riconciliazione. Nel
museo del monastero sono conservati tre di questi ombrelli».
Il
docufilm di Tv2000, che si avvale della regia e della fotografia di
Andrea Tramontano, si conclude con l’intervista ad abuna Matthias I,
Patriarca della Chiesa ortodossa di Etiopia: «Non si è trattato di una
cosa buona. Abbiamo perso tantissime persone, inclusi i monaci, il
vescovo Abuna Petros. Adesso quasi tutto giustamente è stato dimenticato
e perdonato. Posso dire che è bene così. Cosa si può fare adesso?».
Forse è meglio ricordare.