La Stampa 17.5.16
Petrolio, perché il prezzo resterà ancora basso
di Giorgio Arfaras
La
quantità di petrolio è «data», infatti è una fonte di energia non
rinnovabile. Sebbene la sua quantità sia data, grazie alle nuove
tecnologie, si finisce per trovare più petrolio di quanto si potesse con
quelle vecchie.
Proprio quel che è accaduto con l’arrivo del
petrolio estratto frantumando le rocce (lo «shale oil»). Dal 2014 sono
arrivati sul mercato un milione mezzo di barili al giorno oltre la
domanda. Il prezzo è sceso da 100 dollari per barile del 2014 fino a 25
lo scorso febbraio, e da allora è rimbalzato avvicinandosi ai 50
dollari.
La grande caduta è stata il frutto della
sovra-produzione. La risalita è stata prima il frutto dell’attesa di un
congelamento della produzione - ossia la produzione di petrolio resta
invariata nell’attesa che la domanda assorba l’offerta stabilizzando i
prezzi, decisione che doveva essere presa ad aprile durante la riunione a
Doha dei Paesi produttori - Opec più Russia. A Doha, invece, non è
stata presa alcuna decisione, perché gli iraniani non si sono
presentati, mentre i sauditi hanno dichiarato che senza un accordo
corale non si poteva nemmeno parlare di un congelamento. Il prezzo del
barile a quel punto doveva cadere, invece è risalito per una carenza
temporanea di offerta, dovuta a scioperi, incendi e via dicendo.
I
sauditi non hanno ancora rinunciato a vendere la stessa quantità di
petrolio, al contrario. Ultimamente hanno dichiarato che la loro
maggiore compagnia statale - la Aramco - incrementerà la produzione per
guadagnare quote di mercato in vista della sua quotazione - diventerebbe
la maggiore impresa quotata al mondo, diverse volte maggiore di Apple.
Il prezzo del petrolio basso che si avrebbe in questo caso metterebbe in
difficoltà i Paesi produttori che grazie ai proventi energetici (la
«rendita petrolifera») finanziano il loro stato sociale senza dover
raccogliere troppe imposte. I sauditi sono in grado di reggere un prezzo
basso del petrolio, perché hanno cumulato delle grandi ricchezze che
possono usare per finanziare la spesa pubblica. Gli altri grandi
produttori - Russia, Iran - non hanno questa opzione, perché non sono
così ricchi in partenza. Per ora il mercato non assegna una grande
probabilità alla crescita della produzione saudita che farebbe cadere il
prezzo del petrolio.
Sebbene la quantità di petrolio stipata nel
nostro pianeta sia data, grazie alle nuove tecnologie si finisce per
trovare più petrolio di prima. Si trova più petrolio, intanto che esso è
consumato meno, ma non in quantità assolute, bensì in rapporto
all’economia. L’economia cresce, mentre le nuove tecnologie che
risparmiano energia - o che sono energie «alternative» - si impongono.
Un esempio: le automobili (elettriche e non) che oggi consumano molto
meno petrolio rispetto al passato. A parità di chilometri, il consumo
assoluto si riduce. Altro esempio: man mano che cresce il numero dei
giornali letti per via elettronica si riduce il consumo di petrolio per
trasportare quelli letti per via cartacea fino alle edicole. Alla fine,
si consuma e si consumerà meno petrolio per unità di Pil. Il petrolio
non potrà però per ora essere sostituito completamente, perché ha delle
qualità energetiche uniche.
Fino a non molto tempo fa - nel 2008,
quando il petrolio si stava avvicinando ai 150 dollari per barile - era
diffusa la convinzione che, se il petrolio è una risorsa finita, quando
si fosse arrivati a consumarne più di quanto se ne potesse scoprire, si
sarebbe avuta l’esplosione del suo prezzo (il «peak oil»). Questo
ragionamento è sempre vero per una materia prima non rinnovabile quando
inizia a esaurirsi. Il punto però è la «tempistica». Se le nuove
tecnologie riducono il consumo di petrolio per unità di Pil, e allo
stesso tempo le nuove tecnologie trovano più petrolio di quanto si
potesse prevedere sulla base di quelle vecchie, si arguisce che passerà
ancora molto tempo prima che questo si esaurisca, con la conseguente
esplosione del prezzo