La Stampa 16.5.16
Il Venezuela in bancarotta
Maduro minaccia gli industriali: vi esproprio
Il presidente pronto a nazionalizzare le fabbriche improduttive
di Filippo Fiorini
«Formiche
del contrabbando», «parrucconi straricchi», «potere al popolo»: il
discorso con cui il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha
minacciato una nuova ondata di espropri nelle grandi fabbriche del
Paese, arresti per i loro dirigenti ed esercitazioni militari per
combattere il rischio di un’invasione straniera, è un cocktail di gergo
di strada e retorica socialista di fine Ottocento. Tuttavia, è stato
pronunciato solo sabato scorso e ha acceso un nuovo segnale d’allarme
sulla situazione di uno dei territori più ricchi di petrolio al mondo,
lo stesso che detiene anche il record planetario per il tasso
d’inflazione (180% nel 2015) e che manda ben tre città nella classifica
generale delle dodici più pericolose in assoluto.
Nel mirino
dell’ex autista degli autobus, che Hugo Chavez scelse come suo
successore poco prima di morire, questa volta, sono finite le imprese
alimentari che hanno recentemente bloccato la produzione, denunciando
l’impossibilità di acquistare nuove materie prime. Il caso più eclatante
è stato quello della Polar, che ha smesso di fermentare la birra di
bandiera venezuelana, perché non è più in grado di comprarne i cereali.
Con questa decisione, i suoi dirigenti sono ora candidati a fare la fine
dei loro colleghi del settore degli idrocarburi, dei grandi magazzini
hi-tech, del farmaceutico e di moltissimi altri ambiti di mercato,
finiti in galera negli anni scorsi e per periodi di tempo più o meno
lunghi, con l’accusa di speculare sulla carestia.
«Prendiamo atto
di questa guerra», ha detto il presidente, in riferimento a un presunto
complotto internazionale orchestrato dall’ex capo di Stato colombiano
Alvaro Uribe, in combutta con gli Stati Uniti e ineffabili cospiratori
fascisti, e poi ha promesso di consegnare il timone delle fabbriche ai
comitati popolari Clap, che ha costituito per distribuire cibo porta a
porta, composti da fedelissimi del cosiddetto «chavismo» e attivi
nell’orbita del ministero dell’Alimentazione.
Nei primi tre mesi
di quest’anno, l’Osservatorio venezuelano dei Conflitti sociali ha già
registrato 170 saccheggi di generi alimentari. La settimana scorsa, un
gruppo di persone ha bloccato un camion di farina, l’ha rovesciato, ha
ammazzato di botte l’autista e si è portato via tutti i sacchi. Le
televisioni non controllate dal governo hanno mostrato il video, ma il
fatto non ha suscitato particolare scalpore, se si tiene conto, per
esempio, che la situazione generale è disperata e molte malattie sono
tornate ad essere mortali per la mancanza dei medicinali.
In
questo scenario, l’opposizione raggruppata nella coalizione Mud ha
conquistato il parlamento nelle elezioni dello scorso 6 dicembre,
eppure, si trova ancora con le mani legate. Il governo controlla gran
parte delle istituzioni che la costituzione vorrebbe invece fossero
indipendenti. I partiti antagonisti hanno recentemente raccolto quasi
due milioni di firme per indire un referendum e destituire Maduro. Le
autorità che devono approvare la procedura, però, stanno facendo
ostruzionismo, in modo che il voto avvenga dopo il gennaio del 2017 e,
se sarà positivo, possa colpire solo il presidente, ma lasciare in
carica il resto del gabinetto.
I tempi stringono e il fallimento
di questa iniziativa potrebbe avere conseguenze di ordine pubblico molto
gravi. Due settimane fa, il giornalista Javier Mayorca di El Nacional
ha scoperto un piano d’addestramento speciale delle forze anti-sommossa.
Si chiama Guacaipuro 2016 e riadatta una vecchia tattica di risposta a
una possibile invasione colombiana, a un contesto di rivolta nelle
principali città del Paese. L’Organizzazione degli Stati Americani,
intanto, ha annunciato l’imminente pubblicazione di un dossier sulle
violazioni dei diritti umani da parte del governo e, con il prezzo del
petrolio ancora basso, l’Fmi prevede un inflazione del 700% per
quest’anno.