lunedì 16 maggio 2016

La Stampa 16.5.16
Piero Gobetti autoritratto dell’editore ideale
Suscitatore di idee, moltiplica gli affari senza rinunciare ai suoi princìpi: istruzioni per i colleghi del futuro
di Paolo Di Paolo

Una delle più prodigiose esperienze del «giovane prodigioso» è stata quella editoriale. Al Salone si torna a parlare di Piero Gobetti: a novant’anni dalla morte, studi, pubblicazioni, antologie rimettono al centro della discussione l’intellettuale torinese. Già esplorato venerdì il sodalizio di Piero e Ada (a partire dal volume La forza del nostro amore, curato da Pietro Polito e Pina Impagliazzo per Passigli), oggi si affronta il lavoro editoriale. Le grandi riviste, le traduzioni, i cento titoli delle edizioni gobettiane, a cominciare dagli Ossi di seppia di Montale (Edizioni di Storia e Letteratura li sta ristampando in anastatica). Un impressionante raggio d’azione intellettuale, basato su criteri anche molto pratici, che Gobetti sintetizzò in uno smagliante scritto pubblicato da Antonicelli nel 1925.
«Ho in mente una mia figura ideale di editore», enuncia, e ne viene un autoritratto. Con giornate tumultuose, lettere, bozze, telefonate, liti col tipografo. «Penso un editore come creatore», uomo di biblioteca e di tipografia, artista e commerciante insieme, «si mantiene a contatto coi più importanti movimenti d’idee, li suscita, li rinvigorisce, non ha bisogno di essere un Rockefeller. La sua forza finanziaria deve esser tutta nella sua capacità di moltiplicare gli affari». L’importante è che «non debba avere la condanna del nostro pauperismo, non debba vivere di ripieghi». Basta essere logici e non compromettere i propri «princìpi di uomo colto», basta che «pubblico e scrittori siano sicuri di lui». Abbiamo chiesto a quattro editori di riflettere sulla lezione editoriale gobettiana e di calarla nel nostro presente.