domenica 15 maggio 2016

La Stampa 15.5.16
Cento milioni a Italia Sociale
Così il governo spinge il no profit
La Fondazione guidata da Manes, finanziatore di Renzi
di Giacomo Galeazzi e Ilario Lombardo

Un emendamento improvviso, voluto dal governo e inserito in aula durante il dibattito in Senato, tra lo stupore di molti, ha dato vita alla Fondazione Italia Sociale. È l’articolo 10 della legge delega del Terzo settore che sarà approvata a fine mese. Una riforma che dopo tanti anni di dibattito definisce e mette ordine in quel mondo variegato di onlus, organizzazioni non governative, associazioni, cooperative e ora anche imprese sociali, che sono diventate l’asse portante dello stato sociale. Né pubblico, né privato. «Il Terzo Settore per me è il primo», disse Matteo Renzi appena arrivato a Palazzo Chigi. Per capire di cosa parliamo: 300 mila organizzazioni, secondo l’ultimo censimento Istat che risale al 2011, 64 miliardi di entrate 6 milioni circa di operatori.
La gratuità è la stella polare, ma non bisogna pensare soltanto al volontariato. Perché il Terzo settore è uno dei più grandi motori di occupazione. Uno studio dell’Università di Oxford rivela che tra i lavori con meno probabilità di scomparire ci sono proprio quelli di chi si prende cura degli altri. E cosa serve di più in un momento di crisi come questa dove i bisogni sociali sono finiti sul mercato e attirano gli interessi privati? In un Paese dove la popolazione invecchia e sulle cui coste approdano sempre più numerosi i profughi?
Secondo i calcoli forniti da Libera, che nell’ambito della sua campagna contro l’Austerity, «Impatto sociale», ha presentato una proposta in Parlamento, in Italia, Paese che dal 2008 ha visto aumentare i poveri assoluti da due milioni a 4,5, la spesa sociale è diminuita in 7 anni di 36 miliardi. In questo scenario lo Stato trova nel Terzo settore la sua stampella nelle politiche di welfare, nonostante il crollo delle donazioni effettuate da parte delle aziende, 9% in meno solo dal 2012 al 2013.
L’idea della Fondazione nasce da qui, sul modello di quelle già esistenti in altri Paesi, e sotto la regia di Vincenzo Manes attivo nel settore con la Dynamo Camp Onlus (441 mila euro raccolti con il 5 per mille nel 2014) e tra i maggiori finanziatori del think tank Open di Renzi. Motivo per il quale chi non vuole la Fondazione, come il Movimento 5 Stelle, parla dell’«ennesimo finanziere amico di Renzi».
In realtà la Fondazione Italia Sociale suscita molte domande anche all’interno del Pd, tra gli autori della riforma, e nel mondo del volontariato che la vede come uno strumento di privatizzazione del non profit. «Se diventerà il soggetto che accentrerà tutte le risorse per il nostro mondo, che per sua natura è aperto e plurale, sarà un problema», storce il naso Pietro Barbieri, portavoce del Forum Terzo Settore. «L’importante è che la Fondazione non cannibalizzi i progetti», afferma Mario Marazziti, presidente della commissione Affari Sociali della Camera che si troverà a votare un emendamento imposto dal governo in Senato.
Desta anche perplessità la natura giuridica della nuova creatura, cioè una fondazione di diritto privato con finalità pubbliche, ispirata all’Istituto di Tecnologia di Genova (Iit). Manes, che ne sarà il presidente, la definisce «l’Iri per il sociale». Ufficialmente si tratterà di una sorta di centro operativo della filantropia, con l’obiettivo di attrarre grandi donazioni in un Paese che con i suoi 10 miliardi è ancora molto indietro rispetto ai 350 miliardi raccolti negli Stati Uniti. Secondo fonti governative, il progetto è già in uno stato avanzato. Lo scopo è attrarre chi ancora non dona. La logica è la stessa dei fondi strategici nell’industria e punta a superare quella parcellizzazione considerata dal governo la dannazione del Terzo settore. In Italia, le realtà piccole che fanno della prossimità un valore, sono giudicate troppo autoreferenziali e senza possibilità di crescere. Nell’ottica di Palazzo Chigi la Fondazione servirà a sviluppare progetti a livello nazionale, sostenuti con ingenti capitali e competenza manageriale. Un esempio? Costruire reti: dagli hospice alle unità di intervento delle Misericordie. Qualcuno in Parlamento propone che alla Fondazione vengano attribuiti poteri di trasparenza e di vigilanza, come accade per le Charity commission anglosassoni. Altri chiedono: perché una Fondazione sì e una Authority di controllo no? La risposta sarebbe perché è privata, anche se nata da una legge che prevede una dotazione iniziale di 1 milione di euro.
Altri soldi arriveranno: 100 milioni previsti, la maggioranza dei quali, 70 milioni, dalle principali fondazioni o da privati.
L’ultima tranche, di 30 milioni - e qui si annuncia battaglia - l’assicurerà il pubblico con stanziamenti ministeriali. Il consiglio di amministrazione rispecchierà questa tripartizione. Chi mette i soldi avrà il potere di decidere. [GIA.GAL.- I. LOMB.]