domenica 15 maggio 2016

La Stampa 15.5.16
La corsa al 5 per mille
Anche notai e motoclub a caccia del tesoro
Sono tra i 50 mila beneficiari come chi combatte il cancro E la riforma del Terzo settore non prevede un’Authority
di Giacomo Galeazzi e Ilario Lombardo

Accanto alle facce dei politici che tappezzano le città in campagna elettorale, ci sono altri cartelloni che si contendono le preferenze degli italiani. Sono solo alcuni degli oltre 50 mila enti no profit che a colpi di pubblicità puntano alla propria fetta dei 500 milioni stanziati per il Terzo settore, un pilastro per la tenuta del welfare.
È la giungla del 5 per mille. Se per la gran parte si tratta di associazioni e fondazioni benefiche locali impegnate nel volontariato, nell’elenco dei 50mila, che fotografa un mondo frammentato e caotico che attende la riforma del settore, si infilano anche sigle improbabili e di dubbia utilità pubblica. Al fianco di big inamovibili dai primi posti nelle scelte degli italiani, come l’Airc (contro il cancro), Emergency e Medici senza frontiere, nel labirinto di nomi troviamo infatti anche la Fondazione italiana del notariato, alla quale basta la firma di 772 contribuenti per incassare 265 mila euro. Dati riferiti al 2014, gli ultimi disponibili, sulle scelte dei 17 milioni di italiani che hanno optato per il 5 per mille. Ma che ci fa la fondazione che per statuto forma le qualità professionali e culturali di una delle categorie più agiate accanto a onlus che si occupano di cancro, disabili, Aids, povertà? E ancora: cosa c’entrano i motoclub o i blasonati Reale Circolo Canottieri di Roma e Circolo Nautico di Posillipo? Oppure, l’Associazione Radio Maria e Rinnovamento nello Spirito ?
Controlli e tempi lunghi
Il 5 per mille nasce nel 2006 come quota dell’Irpef destinata agli enti che svolgono «attività socialmente rilevanti». I contribuenti possono destinare la quota del 5 per mille della loro imposta sul reddito delle persone fisiche, firmando nei riquadri sui modelli. Dunque, se la dichiarazione dei redditi è di quelle «pesanti», bastano poche opzioni per rimpinguare le casse.
E’ il caso dei notai, ma anche, per esempio, della Junior Jesina Libertas, la scuola calcio dell’ex bomber Roberto Mancini che con appena 11 firme totalizza 65 mila euro. Possibile, poi, che all’Asilo per cani di Palazzolo Milanese vadano più risorse che all’onlus per la lotta alla leucemia dei bambini? Canili, gattili e società dilettantistiche sportive affollano l’albo dell’Agenzia delle Entrate che ogni anno valuta le domande di ammissione e determina gli esclusi. In realtà il Fisco controlla solo le onlus, mentre sulle associazioni sportive ha poteri il Coni, su enti scientifici di ricerca i ministeri della Sanità e dell’Istruzione, sulle poche realtà artistiche presenti il dicastero dei Beni culturali. Così, lo spezzatino delle verifiche allunga i tempi e prima di ricevere il tesoretto di 5 per mille passano dai due ai tre anni, al punto che alcune banche offrono l’anticipo del 100% della cifra. Per le lungaggini del monitoraggio, sono continue le proteste di chi fino all’ultimo non sa se è stato ammesso o meno. Se ne fa portavoce Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della scuola di Fundraising di Roma, che ha appena lanciato una petizione su Change.org indirizzata a governo e Agenzia delle Entrate per chiedere «che i dati sui sottoscrittori e sugli importi vengano resi noti un mese dopo la scadenza ultima per la dichiarazione dei redditi».
Essendo la scadenza il 30 settembre, entro il 30 ottobre. «Se i tempi tecnici richiedono un mese in più, nessuno obietterà, ma è inaccettabile che occorrano due anni per avere i risultati e poi altri mesi per ricevere i soldi, mentre per il 2 per mille ai partiti è bastata una legge e le cifre sono state pubblicate in pochi giorni». Ciò garantirebbe la tanto sbandierata trasparenza e sarebbe un incentivo per i donatori, persuasi da chiarezza e tempestività nella rendicontazione. Coen Cagli chiede di «liberare» il 5 per mille, «uno strumento splendido - dice - ma utilizzato solo a un decimo della sua potenza», anche perché poco noto agli italiani.
«Il governo Renzi che tanto parla di Terzo settore e mecenatismo dovrebbe avviare una campagna per dare più consapevolezza ai contribuenti che oggi non conoscono bene come funzioni il 5 per mille e spesso si affidano al commercialista neanche fosse una pratica burocratica come le altre». Tra le anomalie c’è pure la presenza nell’elenco dei beneficiari del 5 per mille di chi, attraverso i Caf, i centri di assistenza fiscale può più facilmente indirizzare le donazioni. E’ il caso delle Associazioni cristiane dei lavoratori (Acli, al 12o posto per contributi) e del Movimento cristiano lavoratori (22o). Una relazione della Corte dei Conti sul 5 per mille consegnata in Parlamento nel novembre 2014 denuncia «effetti distorsivi» prodotti da «un mondo frammentario e disorganico» e fissa punto per punto cosa non va nel sistema. A cominciare dalla presenza di circoli esclusivi, ma anche di case di cura private, di moto club, palestre. Una zona grigia dove si annidano i furbetti della beneficenza che rischiano di piegare «un istituto di rilevanza sociale a finalità egoistiche e personali». In questo universo eterogeneo non mancano i paradossi: nell’ultimo resoconto del Fisco sono 2037 gli enti beneficiari che non hanno ricevuto una firma.
I primi tre in classifica, Airc, Emergency e Medici senza frontiere, ottengono oltre 90 milioni di euro, in pratica un quinto dei fondi per il 5 per mille. «Un’indubbia situazione di vantaggio - sancisce la Corte dei Conti - per gli organismi di maggiore dimensione che possono investire in attività promozionali». Un nodo segnalato anche dal presidente della commissione Affari Sociali della Camera, Mario Marazziti, storico esponente della Comunità di Sant’Egidio. «Fateci caso: prendono più soldi quelli che più spendono in pubblicità. Andrebbe ripensato il meccanismo che prevede l’indicazione del codice fiscale». Infatti, basta alzare la testa sui cartelloni promozionali per leggere ovunque, in grande, i numeri identificativi delle onlus. Il 5 per mille consente due possibilità: la scelta di uno specifico ente attraverso il codice fiscale, o la designazione di un settore. Si può anche non indicare alcunché. In tal caso il gruzzoletto se lo tiene lo Stato. Nella seconda opzione, invece, la ripartizione delle scelte per settore va in proporzione alle firme raccolte. Quindi se ne avvantaggiano ancora le organizzazioni più grandi, quelle che possono spendere milioni in pubblicità e in campagne di fundraising. Ovviamente non tutte si comportano allo stesso modo. Se le risorse spese in stipendi e raccolta fondi per Emergency si fermano al 16%, all’Unicef raggiungono il 35%. «Serve un’operazione di trasparenza - spiega Pietro Barbieri, portavoce del Forum del Terzo settore -. Il cittadino deve sapere dove finiscono i suoi soldi, se tutti nell’assistenza o nella ricerca di una nuova cura e quanta parte per la comunicazione».
L’Authority che manca
Certo, servirebbe un organo terzo di vigilanza. Esattamente quello che la riforma non introduce, mentre per far ordine nella polverizzata galassia no profit istituisce per la prima volta un Registro nazionale unico, a cui si accederà solo dopo la verifica dei requisiti. Ma chi la farà? Lo abbiamo chiesto a Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro ed ex presidente delle Acli. Piccola parentesi: La necessità di un’Authority del Terzo settore è stata uno degli argomenti più dibattuti tra di loro nei mesi di preparazione della legge. L’ipotesi poi tramontata era di resuscitare l’Agenzia per le Onlus liquidata dal governo di Mario Monti nel 2012. L’ultimo a guidarla è stato l’economista Stefano Zamagni, tra i massimi esperti di no profit, ora pronto a scommettere che «presto capiranno l’esigenza di dare vita a un’autorità di controllo indipendente, tipo la Consob o l’Antitrust. Il soggetto terzo non può essere il ministero». La legge delega sul Terzo settore infatti si limita a prevedere che le funzioni di vigilanza vadano al ministero del Lavoro, con un ufficio ad hoc. Tra i compiti previsti, la promozione di forme di autocontrollo. Nel Paese delle cooperative di Mafia Capitale e del Cara di Mineo, bastano forme di autocontrollo o autocertificazioni, come dice il testo di legge e ribadisce Bobba? «Respingo la logica - replica il sottosegretario - per cui appena abbiamo un problema evochiamo un’Authority come strumento di salvezza».
La pensano diversamente i compagni di partito di Bobba e gli ex colleghi del Terzo settore. Secondo Patriarca «il ministero è assolutamente impreparato. E il solo Registro unico richiederà una grandissima professionalizzazione». Anche per Beni «un ufficio a Roma non sarà mai in grado di controllare 300 mila enti». Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative (6,7 miliardi di fatturato) avverte: «Ci sono troppi elenchi e banche dati che non dialogano tra di loro. Ed è proprio nella mancanza di coordinamento che si può nascondere l’illegalità». Per Guerini è positivo che la riforma istituisca un registro unico nazionale: «Resta il problema di chi dovrà fare i controlli. Pur avendo poche risorse e pochi poteri, l’Agenzia di Zamagni era fondamentale per scoprire chi si era ingiustamente iscritto all’elenco dell’Agenzia delle Entrate per il 5 per mille». Ai tempi di Zamagni l’Agenzia aveva costi irrisori e funzioni di indirizzo. Ora tutti invocano l’assoluta trasparenza e l’obbligo di spese ben rendicontate. Un modello alternativo potrebbe essere quello suggerito da Barbieri del Forum. E cioè la Charity Commission che nei Paesi anglosassoni «costringe ogni associazione, anche locale, a fornire nel dettaglio le entrate e le uscite». Si sta andando in questa direzione? Non proprio. A dieci anni esatti dalla sua nascita , si comincia a sentire l’esigenza di un serio tagliando sul 5 per mille. Tutto starà ai decreti attuativi della legge delega che avranno il compito di stringere di più le maglie e specificare i requisiti di chi entrerà nel registro del Terzo settore e chi avrà diritto al 5 per mille, ormai la principale fonte di finanziamento per le onlus.
Sulla scrivania del suo ufficio Bobba ha il documento con cui pensa di razionalizzare questo istituto. Risale al 2008, e porta la firma di Stefano Zamagni. Quelle idee mai realizzate sembrano tornate di moda: un tetto di spesa per la pubblicità e un elenco definitivo e consultabile dei beneficiari, in modo da rendere più facile la vita all’Agenzia delle Entrate e «non rallentare a dismisura - era già scritto così 8 anni fa - la procedura di erogazione dei fondi». Già allora si immaginava una migliore distribuzione delle risorse per evitare la dispersione di pochi euro tra migliaia di sigle e la concentrazione di grosse somme a pochi soggetti. Fa sorridere che quel progetto di riforma del 5 per mille sia del 2008 e porti la firma del presidente dell’Agenzia chiusa da Monti che il governo non vuole ripristinare.