domenica 15 maggio 2016

La Stampa 15.5.16
Se crediamo di essere più furbi dei mercati
Dall’inizio dell’anno ad oggi, gli investitori hanno ritirato dalle Borse europee risorse per circa novanta miliardi
di Alberto Mingardi

I prezzi delle azioni riflettono la stima attuale dei valori dei flussi di cassa futuri. Sono aspettative che maturano sulla base delle informazioni disponibili in un certo momento. Le informazioni, però, cambiano col tempo. Quando si dice che il mercato «si corregge», si intende dire che sono emersi nuovi dati, che portano a ripensare le valutazioni fatte in precedenza. Se i rendimenti risultano inferiori alle attese, l’aggiustamento diventa inevitabile.
Il futuro di ogni singola azienda dipende dai suoi prodotti, dalle sue strategie: ma anche dalle prospettive dell’economia.
Guardiamoci attorno. Il mercato cinese ha conosciuto forti scosse sismiche, in corrispondenza del rallentamento della crescita di quel Paese. Sull’Europa incombe il rischio Brexit, che aggiunge un elemento di genuina imprevedibilità a una situazione già fortemente instabile. Per anni gli analisti si sono illusi che la crisi avrebbe prodotto strumenti per mutualizzare il debito e dirigere la finanza pubblica degli Stati membri da Bruxelles. La crisi dei rifugiati però ha scoperchiato più divisioni di quella dell’euro. I segnali che arrivano ad ogni elezione, dal Portogallo alla Sassonia-Anhalt, suggeriscono che non c’è nessuna strada segnata verso un’Unione Europea nella quale i vecchi Stati nazionali siano ridotti a regioni.
Anche se in Italia parliamo di «ripresa» rigorosamente soltanto al futuro, dobbiamo ricordarci che gli Stati Uniti sono tornati alla crescita positiva nel 2010. Sarà stata pure la ripresa più debole di sempre: ma è stata accompagnata da una crescita vigorosa dei corsi azionari.
La politica monetaria condiziona tutti questi processi. Ci stiamo abituando a vivere con tassi d’interesse bassi o negativi, ma non possiamo immaginare che essi non abbiano effetto, anche sulle Borse. Le conseguenze sono almeno di due tipi diversi.
Da una parte, il fatto che si arrivi a una frenata ciclica in una fase di politica monetaria espansiva non può che spaventarci. Se una politica «emergenziale» è diventata la norma, possiamo pensare di utilizzarla di nuovo per tamponare un’emergenza? L’impressione è che non ci si possa aspettare un altro «stimolo» dalle banche centrali, per riavviare la crescita.
Dall’altra, una politica monetaria espansiva di per sé funziona come l’alta marea che alza tutte le barche. Così è stato per i prezzi delle azioni. E’ normale che a un certo punto gli investitori si chiedano se non stanno pagando troppo. Se pensano di aver pagato troppo, prevedranno un aumento della volatilità: una correzione del genere che si verifica quando i rendimenti non rispettano le attese. Per chi teme un aumento della volatilità, ritirarsi dai mercati azionari e convergere su altri investimenti (a cominciare dai titoli di stato) è una strategia ragionevole.
Il pessimismo è «virale»? C’è una componente psicologica? Certamente, dal momento che anche gli operatori economici sono esseri umani in carne ed ossa. Secondo il Financial Times, la delusione per i ricavi dell’ultima trimestrale di Apple ha fatto a pezzi il sogno che le imprese high tech fossero un porto sicuro.
Secondo Adam Smith, tutti siamo vittima dell’assurda presunzione della nostra buona fortuna. «Le probabilità di guadagno sono da tutti più o meno sopravvalutate, mentre quelle di perdita sono sottovalutate dai più». Insomma, ci crediamo più furbi di quanto siamo.
Questa presunzione fa danni soprattutto nella fase di «boom», quando concorre a gonfiare i prezzi. L’attendismo di chi esce dalle Borse deve spaventarci di meno?
Adam Smith scriveva prima dell’epoca dei mass media, che vivono di cattive notizie. I disastri occupano i telegiornali, le tante micro-buone notizie sfornate ogni giorno da un’economia innovativa non ci arrivano mai. Tendiamo tutti a sovrastimare gli effetti di una politica miope e a sottostimare quelli di una nuova tecnica di produzione.
Guai però a pensare che i corsi di Borsa possano solo andare all’insù. I prezzi sono termometri: non è detto che segnino sempre 37 gradi.