La Stampa 14.5.16
“Sì al dialogo”, la tentazione dei Cinque Stelle
Di
Maio sceglie la linea possibilista: porte aperte agli elettori di
destra, ma no all’alleanza contro il sistema Per il secondo turno
possibile sostegno del Carroccio a Roma e Torino in cambio dei voti
grillini su Parisi
di Ja.Ia.
«Ognuno è libero di
votare chi vuole, noi andiamo per la nostra strada», ha commentato ieri
Virginia Raggi le parole di Matteo Salvini. Insomma, i voti ben vengano,
ma le autocandidature di leadership no. Anche se poi il commento più
sagace l’ha pronunciato un consigliere comunale del Movimento: «Gentile,
Salvini, ma quali voti ha a Roma?». Nella logica del Movimento rende
bene l’idea: il Movimento non ha nessun interesse ad accodarsi a
nessuno, specie nella città dove - tra tutte - si gioca le possibilità
più reali di vincere. Però c’è un però.
Il rapporto tra Movimento
cinque stelle e Lega non è oggi così univoco come si potrebbe pensare.
Qualche giorno fa Luigi Di Maio ha ripetuto in privato un ragionamento
che aveva espresso anche a «La Stampa»: i leghisti «non si fanno dire da
nessuno per chi votare». Se però ci si ferma un istante, Salvini non ha
intimato ai leghisti di votare Raggi al ballottaggio, si è limitato a
dire più saggiamente che lui voterebbe Raggi al ballottaggio. Le due
cose sono molto diverse: la prima sarebbe un’offerta di voti che non ha,
la seconda, un’offerta politica ai vertici del Movimento. La cosa può
combaciare benissimo con le idee espresse in questo periodo da Di Maio
sul tema dei rapporti col voto della Lega. Ieri il vicepresidente della
Camera se l’è cavata con una battuta, «a Salvini sfugge il fatto che sia
io, sia lui non votiamo a Roma: io comunque ai ballottaggi, se non c’è
l’M5S, non ho mai scelto nessuno degli altri contendenti». Però, quando è
in giro, l’aspirante candidato premier del M5S ripete sempre «chi ci
vuole votare ci potrà votare». Insomma: benvenuti i voti della Lega -
specie se ci sono, e dove ci sono (Salvini pochi, ma Meloni tanti) -
mentre ovviamente non c’è nessuna intenzione di prendere neanche in
considerazione una leadership anti-sistema salviniana.
C’è
tuttavia un terzo elemento che va considerato. Gianroberto Casaleggio
aveva mostrato al suo più intelligente collaboratore dei grafici che non
sono mai sostanzialmente cambiati: un cruccio del cofondatore era che
il Movimento al Nord non sfonda. Se si eccettuano Torino e la Liguria,
l’asse che va da Vercelli al Veneto vede il M5S piazzato, ma
assolutamente incapace di decollare. Esiste una spiegazione semplice, e
la fornisce un parlamentare del Nord Est: «Il Movimento al Nord è
percepito troppo come quelli del reddito di cittadinanza, quindi come
una forza assistenzialista, una specie di An del tempo che fu. Noi
invece, nell’idea di Gianroberto, dovevamo concentrarci di più sul meno
tasse, sulle piccole imprese. Questo non è avvenuto». Fate caso a un
quarto dato: il direttorio è un’entità integralmente romano-napoletana. È
impressionante, ma non c’è uno del Nord. Certo Di Maio fa tanti tour
per crescere oltre il Rubicone, ma la realtà dei partiti anti-sistema al
momento questa è: Lega al Nord, M5S al Centro-Sud. Un po’ come nel
primo Polo, che aveva Bossi al Nord e Fini al Sud. Impensabile che il
M5S apra a una leadership di Salvini; una somma di voti può invece
rendersi necessaria, almeno alle amministrative. Mentre alle Politiche,
se persiste l’Italicum, ognuno farà la sua corsa in solitaria. Ma nelle
città è diverso. Lo si vede anche a Torino, dalla campagna elettorale
moderata e aperturista, verso il mondo leghista, di Chiara Appendino. A
Roma Salvini vota la Raggi, a Milano il M5S potrebbe aiutare al
ballottaggio Salvini. Ipotesi a cui si lavora.
C’è naturalmente un
problema. Salvini è agli antipodi di quella fetta di militanza
originaria nel Movimento che viene da battaglie sociali, e non ha
propensione all’intolleranza. Insomma, gente come Roberto Fico, che ha
avuto a dire, in modo liquidatorio, «con Salvini al massimo si può fare
un selfie». Ma tra l’accettarlo come leader (impossibile), e non
dialogarci neanche (improbabile), il M5S versione Di Maio cerca una
terza via nel rapporto col Matteo leghista.