lunedì 16 maggio 2016

La Stampa 14.5.16
“Sì al dialogo”, la tentazione dei Cinque Stelle
Di Maio sceglie la linea possibilista: porte aperte agli elettori di destra, ma no all’alleanza contro il sistema Per il secondo turno possibile sostegno del Carroccio a Roma e Torino in cambio dei voti grillini su Parisi
di Ja.Ia.

«Ognuno è libero di votare chi vuole, noi andiamo per la nostra strada», ha commentato ieri Virginia Raggi le parole di Matteo Salvini. Insomma, i voti ben vengano, ma le autocandidature di leadership no. Anche se poi il commento più sagace l’ha pronunciato un consigliere comunale del Movimento: «Gentile, Salvini, ma quali voti ha a Roma?». Nella logica del Movimento rende bene l’idea: il Movimento non ha nessun interesse ad accodarsi a nessuno, specie nella città dove - tra tutte - si gioca le possibilità più reali di vincere. Però c’è un però.
Il rapporto tra Movimento cinque stelle e Lega non è oggi così univoco come si potrebbe pensare. Qualche giorno fa Luigi Di Maio ha ripetuto in privato un ragionamento che aveva espresso anche a «La Stampa»: i leghisti «non si fanno dire da nessuno per chi votare». Se però ci si ferma un istante, Salvini non ha intimato ai leghisti di votare Raggi al ballottaggio, si è limitato a dire più saggiamente che lui voterebbe Raggi al ballottaggio. Le due cose sono molto diverse: la prima sarebbe un’offerta di voti che non ha, la seconda, un’offerta politica ai vertici del Movimento. La cosa può combaciare benissimo con le idee espresse in questo periodo da Di Maio sul tema dei rapporti col voto della Lega. Ieri il vicepresidente della Camera se l’è cavata con una battuta, «a Salvini sfugge il fatto che sia io, sia lui non votiamo a Roma: io comunque ai ballottaggi, se non c’è l’M5S, non ho mai scelto nessuno degli altri contendenti». Però, quando è in giro, l’aspirante candidato premier del M5S ripete sempre «chi ci vuole votare ci potrà votare». Insomma: benvenuti i voti della Lega - specie se ci sono, e dove ci sono (Salvini pochi, ma Meloni tanti) - mentre ovviamente non c’è nessuna intenzione di prendere neanche in considerazione una leadership anti-sistema salviniana.
C’è tuttavia un terzo elemento che va considerato. Gianroberto Casaleggio aveva mostrato al suo più intelligente collaboratore dei grafici che non sono mai sostanzialmente cambiati: un cruccio del cofondatore era che il Movimento al Nord non sfonda. Se si eccettuano Torino e la Liguria, l’asse che va da Vercelli al Veneto vede il M5S piazzato, ma assolutamente incapace di decollare. Esiste una spiegazione semplice, e la fornisce un parlamentare del Nord Est: «Il Movimento al Nord è percepito troppo come quelli del reddito di cittadinanza, quindi come una forza assistenzialista, una specie di An del tempo che fu. Noi invece, nell’idea di Gianroberto, dovevamo concentrarci di più sul meno tasse, sulle piccole imprese. Questo non è avvenuto». Fate caso a un quarto dato: il direttorio è un’entità integralmente romano-napoletana. È impressionante, ma non c’è uno del Nord. Certo Di Maio fa tanti tour per crescere oltre il Rubicone, ma la realtà dei partiti anti-sistema al momento questa è: Lega al Nord, M5S al Centro-Sud. Un po’ come nel primo Polo, che aveva Bossi al Nord e Fini al Sud. Impensabile che il M5S apra a una leadership di Salvini; una somma di voti può invece rendersi necessaria, almeno alle amministrative. Mentre alle Politiche, se persiste l’Italicum, ognuno farà la sua corsa in solitaria. Ma nelle città è diverso. Lo si vede anche a Torino, dalla campagna elettorale moderata e aperturista, verso il mondo leghista, di Chiara Appendino. A Roma Salvini vota la Raggi, a Milano il M5S potrebbe aiutare al ballottaggio Salvini. Ipotesi a cui si lavora.
C’è naturalmente un problema. Salvini è agli antipodi di quella fetta di militanza originaria nel Movimento che viene da battaglie sociali, e non ha propensione all’intolleranza. Insomma, gente come Roberto Fico, che ha avuto a dire, in modo liquidatorio, «con Salvini al massimo si può fare un selfie». Ma tra l’accettarlo come leader (impossibile), e non dialogarci neanche (improbabile), il M5S versione Di Maio cerca una terza via nel rapporto col Matteo leghista.