La Stampa 13.5.16
69 Festival di Cannes Il film del giorno
Marco Bellocchio: così ho fatto mia la tragedia umana di “Fai bei sogni”
Dal
best-seller di Massimo Gramellini una storia d’amore e di perdita
L’autore: “L’ho realizzato in piena libertà”. Dieci minuti d’applausi
di Fulvia Caprara
Nell’appartamento
borghese Anni 60 l’amore assoluto tra un bambino timido e una madre
giovane e bellissima si consuma intorno a un tavolo. Da una parte lei
che ritaglia fotografie di cantanti e le incolla su un album, dall’altra
lui che, mentre fa i compiti, le lancia sguardi rapiti. A volte i due
si mettono a ballare, un twist energico che li lascia senza fiato. Altre
ancora siedono silenziosi sull’autobus che dovrebbe portarli a casa, la
madre oscurata da una tristezza impenetrabile, il figlio in allarme
perché il giro si ripete troppe volte, come se la fermata giusta non
dovesse arrivare mai.
Poi, una notte, la musica si interrompe. Per
sempre. «Quarant’anni prima - scrive Massimo Gramellini in Fai bei
sogni -, l’ultimo dell’anno mi ero svegliato così presto che credevo di
sognare ancora. Ricordo l’odore della mamma nella mia stanza, la sua
vestaglia ai piedi del letto. Che ci faceva lì? E poi: la neve sul
davanzale, le luci accese in tutta casa, un rumore di passi strascicati,
e quel guaito di creatura ferita».
Ieri al Festival, nella
vetrina ricercata della Quinzaine des realisateurs, Marco Bellocchio ha
presentato il suo nuovo film, tratto dal best-seller di Gramellini: «Nel
libro ho trovato una tragedia umana che mi ha molto coinvolto, il
dolore di Massimo che perde la mamma adorata a nove anni, la sua
ribellione a questo dramma ingiusto; poi, col passar del tempo,
l’adattamento per sopravvivere a una perdita incomprensibile».
Di
madri, di famiglie, di sofferenze psichiche e di salti nel vuoto
Bellocchio ha parlato fin dall’esordio, nel 1965, con I pugni in tasca:
«Lì la madre gettata nel burrone, qui santificata, nel massimo della
compenetrazione, due assoluti, due estremi attraverso cui cerco di
scoprire qualcosa che ci riguarda. Sono sempre me stesso, questo è stato
un film molto sentito, realizzato in sostanziale libertà».
Nella
storia, sceneggiata dal regista con Valia Santella e Edoardo Albinati,
il regista ha trovato diversi fulcri di interesse: «Sullo sfondo
dell’evoluzione del protagonista c’è la storia dell’Italia e della
televisione di quegli anni». E poi c’è il mestiere di Massimo, il
giornalismo, con tutto il peso delle sue contraddizioni: «Sulla vostra
categoria - osserva Bellocchio - c’è molto da dire, bisognerebbe fare un
film sugli estremismi di questo tragico mestiere, sulla sua dimensione
disumana, sulla superficialità necessaria ad afferrare il presente e
sintetizzarlo. Siete quasi sempre obbligati a scrivere la prima cosa che
vi viene in mente. Spesso non è la migliore». L’altro nodo era nel
rapporto con l’autore: «Le sensibilità sono diverse, io ho la mia,
Gramellini la sua. Devo dire che è stato un signore, ha letto il
copione, ma non è mai intervenuto».
La guarigione di Massimo, la
fine dell’indifferenza che ha permeato le sue relazioni amorose, inizia
quando incontra Elisa (Bérénice Bejo), il medico che al telefono riesce a
curargli la prima crisi di panico: «Adoro il cinema italiano - dice la
diva di The Artist - e sono stata sedotta dall’idea di lavorare con
Bellocchio». Il padre vedovo è Guido Caprino che ha scoperto,
interpretandolo, «le difficoltà della paternità». La madre è Barbara
Ronchi, grandi occhi scuri difficili da dimenticare.
A Cannes già
dalla prima proiezione le reazioni sono positive, il pubblico applaude,
si commuove, ringrazia l’autore. Alla proiezione serale dieci minuti di
applausi, molti in sala battono le mani sul ritmo del twist che chiude
il film. Su Le Figaro Marie-Noelle Tranchant scrive che «Fai bei sogni è
«una storia di lenta resilienza, piena di segrete pieghe, raccontata
con una forza ipnotizzante». Un’accoglienza che riapre gli interrogativi
sull’esclusione dal concorso: «Su questo non rispondo - dice Bellocchio
- finiremmo per entrare in un discorso piccolo. Faremo tesoro di questa
esperienza quando usciremo, in autunno. Volevo raccontare un tentativo
di cambiare, di guardare a qualcosa che vada oltre la nostra
disperazione. Tutto qui».