giovedì 12 maggio 2016

La Stampa 12.5.16
il capitalismo fa paura come il socialismo
di Gianni Riotta

Per studiare in un buon college americano si pagano, solo di tasse, 60.000 euro l’anno. Per affittare una stanza vicino al campus di una grande città Usa servono altri 2500 euro al mese. Un Master, laurea di specializzazione, costa 160.000 euro, fare l’avvocato 240.000.
Il salario medio Usa è circa 55.000 euro l’anno, un giovane professionista arriva magari a 60.000, ma quanti anni gli ci vorranno prima che riesca a ripagare il debito contratto per studiare? Le banche non gli daranno un mutuo per la casa e, per chi ha solo il diploma di scuola, lavori da operaio ne restano pochi. I ragazzi che si laureeranno a giugno saranno i primi, dalla grande crisi 2008, a trovare un mercato del lavoro in leggera ripresa, ma le previsioni restano opache.
In questo clima non c’è da stupirsi se i Millennials, i nati a Guerra Fredda finita, intorno agli Anni Ottanta, si dichiarano, in un sondaggio dell’Università di Harvard, scettici sia sul capitalismo sia sul socialismo http://goo.gl/5deHPe . Nel Paese che il Labour Party del segretario Corbyn considera culla del «Capitalismo da rovesciare e di cui noi siamo i nemici», i giovani sono così delusi dal mercato e dalla crisi da bocciare a sorpresa «socialismo» e «capitalismo», alla pari.
Solo nel 2000 gli studiosi Lipset e Marks potevano, nel saggio «It did not happen here», spiegare che, al contrario dell’Europa, il socialismo non aveva messo radici in America per le ragioni già chiarite dal classico viaggio di Tocqueville, troppo individualisti e fieri gli americani, troppo scettici sullo Stato, per dire no al capitalismo e sì al socialismo, legati a Benjamin Franklin e alla vita industriosa, non all’Apocalisse economica del «Capitale» di Marx. In sedici anni, gli Stati Uniti, tra i giovani soprattutto secondo Harvard, hanno maturato invece diffidenza tanto per il mercato libero quanto per l’economia centralizzata. La svolta, a ben guardare, data al 1989, quando i millennials nascevano e il futuro premio Nobel per l’economia Paul Krugman spiegava «viviamo nell’epoca delle speranze calanti». I figli, per la prima volta da due secoli, non avrebbero superato lo status economico dei padri. La globalizzazione, dal 1981 a oggi, ha trasformato la Cina da paese con 9 poveri su 10 cittadini, in nazione con un solo povero ogni 10 abitanti. Il mercato ha assicurato all’Asia il maggior salto di benessere della storia umana, in una sola generazione, ma in America (come in Europa dove lo stato sociale - per ora ma fino a quando? - ammortizza gli effetti dolorosi) l’automazione ha distrutto milioni di posti di lavoro, e altri ancora ne cancellerà.
Questo nuovo scenario, e il dilagare della disuguaglianza deprecata dal tomo del professore Picketty, amareggia il presente dei ragazzi. I seguaci di Trump alzano arrabbiati l’ultima bandiera del capitalismo, i paladini di Sanders rispondono con il vessillo ottocentesco del socialismo, in mezzo tanti sono meno focosi, ma altrettanto scontenti del presente, senza spazi di vita per una famiglia, una professione, una maturazione umana. Un mio studente a Princeton University, assistendo alla campagna elettorale 2016, mi ha detto «La ascoltavo parlare di fascismo, capitalismo, socialismo, libero mercato, credevo parlasse del passato. Poi ho sentito Trump e Sanders, gli insulti, “fascista!”, “socialista!”, e ho capito: la Storia non passa mai».
Sbaglierebbe però chi deducesse dall’amarezza dei millennials, frutto anche della delusione seguita alla presidenza Obama, che i giovani avevano appoggiato con passione, il ritorno del passato, bandiere rosse in piazza, Wall Street assediata. I ragazzi lamentano «questa» economia bloccata, non inseguono utopie. Chiedono investimenti per il lavoro, scuola meno cara, accesso al credito, una politica che non sia solo lobby, ma anche progetto sociale e di comunità, cittadinanza vera, oltre social media e smartphone. Hillary Clinton, pur nella sua campagna ingessata, senza calore, sembra infine averlo compreso: la carica di Trump e Sanders, da destra e sinistra, è lamento rauco per questa infelicità. Un travaglio che può ancora migliorare l’America ma che, privato di sbocchi veri da una Casa Bianca e un Congresso sordi, si radicalizzerebbe in inverno populista. Gli Usa ripiomberebbero allora nel buio che Richard Hofstadter chiamava «Lo stile paranoico della politica americana».